Tel Aviv ha approvato il piano per espandere le operazioni militari nella Striscia di Gaza. Le obiezioni, anche di parte israeliana, sono forti

Come avevamo anticipato nell’edizione di ieri, Tel Aviv ha approvato all’unanimità il piano per espandere le operazioni militari nella Striscia di Gaza. Un alto funzionario della sicurezza – riporta Haaretz – ha detto che la prevista espansione delle operazioni a Gaza, come approvato dal gabinetto domenica tardi, non inizierà prima che il presidente Donald Trump abbia terminato la sua visita di metà maggio in Medio Oriente. E il piano entrerà in vigore solo se non sarà raggiunto un accordo sugli ostaggi per allora.



Lo stesso funzionario avrebbe precisato che la fornitura di aiuti umanitari sarà ripristinata sulla Striscia solo dopo l’inizio dell’operazione, soprannominata “Gideon’s Chariots” (i carri di Gedeone), e il piano di trasferimento per i residenti di Gaza farà parte degli obiettivi dell’operazione. L’IDF dovrà anche stabilire una “zona sterile” nell’area di Rafah, zona dove i residenti di Gaza potranno entrare, in attesa di ispezione.



Il piano approvato dal gabinetto di sicurezza di Israele prevede dunque l’espansione delle operazioni nella Striscia, l’occupazione a tempo indeterminato di intere fette di territorio, e lo spostamento della popolazione verso un sud che resta comunque incerto, vagamente indicato tra i corridoi Morag e Filadelfia.

Il quotidiano Ynet ha precisato che “il piano approvato dal gabinetto di sicurezza per l’espansione dell’operazione a Gaza è ampio, ma comunque limitato: non prevede operazioni nelle zone dove si sospetta la presenza di ostaggi. L’IDF passerà da incursioni temporanee alla conquista di aree (ma non dell’intera Striscia), con operazioni di bonifica e attività intensiva nei tunnel”.



Di fatto, sembra che il premier Benjamin Netanyahu abbia recepito, se non in toto, almeno in buona sostanza, il piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che idealizzava una Riviera Gazawi affacciata sul Mediterraneo e la deportazione in massa dei palestinesi ancora “ostinatamente” presenti.

Il tutto ha causato nuove tensioni in Israele, soprattutto tra le famiglie degli ostaggi. Manifestanti hanno bloccato per protesta alcune strade di fronte a Kiryat HaMemshala, complesso governativo a Gerusalemme, arrivando a scontrarsi con la polizia. Inusuale, in questo bailamme, la postura assunta dal capo di stato maggiore israeliano Eyal Zamir, che ha avvisato i ministri che la nuova operazione a Gaza potrebbe mettere in pericolo gli ostaggi ancora prigionieri dei terroristi: una precisazione che al 578esimo giorno di guerra suona almeno pleonastica, anche perché lo stesso premier Netanyahu ha chiarito senza mezzi termini che l’annientamento di Hamas “vale” più del rilascio degli ostaggi.

Hamas intanto accusa Israele di usare gli aiuti umanitari come mezzo di ricatto, attribuendole la responsabilità della catastrofe umanitaria del territorio devastato. Si stima – riporta l’Ansa – che entro due settimane gli aiuti umanitari a Gaza potrebbero esaurirsi: negli ultimi giorni si sono verificate varie azioni di saccheggio dei magazzini, a volte anche ad opera di miliziani di Hamas.

L’opinionista di Haaretz Peter Lerner afferma che, per Israele, gli aiuti umanitari a Gaza dovrebbero essere un imperativo per la sua sicurezza. “La guerra urbana incontrollata in aree densamente popolate alimenta solo la radicalizzazione e la sempre crescente condanna globale. Gli obiettivi dichiarati di Israele rimangono smantellare la capacità di governo di Hamas, salvare i restanti ostaggi e ripristinare la sicurezza. Ma senza una strategia credibile, compassionevole, umana e lungimirante per proteggere i civili palestinesi a Gaza, l’approccio attuale rischia di approfondire la crisi che sostiene di risolvere. Gli attacchi aerei, le operazioni di terra e la creazione di corridoi cuscinetto da soli non possono sconfiggere un’ideologia. E la crisi umanitaria rischia di peggiorare molto”.

La risposta delle Nazioni Unite non è tardata, con la bocciatura del piano israeliano che coinvolge le modalità di ingresso e distribuzione degli aiuti umanitari a Gaza, senza più distribuzione all’ingrosso e immagazzinamento, ed invece con la consegna da parte di organizzazioni internazionali alle singole famiglie, controllate dall’IDF. All’IDF resterebbe il compito di garantire un livello di sicurezza per le organizzazioni internazionali di assistenza, rendendo di fatto difficile per Hamas dirottare gli aiuti verso i suoi combattenti.

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