La nuova Germania di Merz mette nel mirino Orban, accusato di essere uno dei trasgressori dei principi fondamentali dell'UE, a rischio voto e finanziamenti
Il nuovo governo di Merz, che si appresta a prendere forma in Germania, alza la voce e si scaglia contro l’Ungheria di Orban con l’obiettivo di sospendere i finanziamenti europei per tutti coloro considerati trasgressori dei valori fondamentali dell’Unione Europea, la quale per anni ha minacciato sanzioni, ammonito, avviato procedimenti, ma raramente ha osato colpire davvero nel vivo i suoi membri.
Però, in questo caso, l’Ungheria di Viktor Orban ha saputo muoversi con spregiudicata astuzia tra le maglie delle regole comunitarie, sfruttando le lentezze burocratiche di Bruxelles e il timore dei Paesi più potenti di innescare fratture interne insanabili.
Ma, in questo caso, il presidente ungherese sembra aver sottovalutato come il vento stia cambiando, e la nuova coalizione tedesca, con Friedrich Merz al timone, sembri intenzionata a rompere con il passato, ponendo fine all’era delle mezze misure e delle sanzioni simboliche.
L’idea è chiara: chi mina lo Stato di diritto, chi calpesta i principi fondanti dell’Unione, chi trasforma la democrazia in una caricatura autoritaria deve pagarne le conseguenze. Quindi niente più fondi, niente più indulgenze, e possibilmente niente più diritto di voto nelle istituzioni europee; un ultimatum che, pur non nominando esplicitamente l’Ungheria, appare cucito su misura per il suo leader populista, sempre più isolato eppure ancora capace di giocare su più tavoli, flirtando con Mosca e sabotando le decisioni chiave dell’UE, che già in passato ha tentato di bloccare i finanziamenti destinati a Budapest.
Nel 2022, la Commissione europea aveva sospeso ben 22 miliardi di euro, ufficialmente per preoccupazioni legate all’indipendenza della magistratura e ai diritti umani, ma bastò qualche promessa di riforma da parte di Orban per sbloccare oltre 10 miliardi, scatenando un’ondata di critiche contro l’eccessiva remissività dell’UE.
La verità è che, fino ad oggi, le istituzioni europee si sono dimostrate incapaci di far rispettare i propri principi senza impantanarsi in estenuanti negoziati, resistenze interne e logiche di compromesso che, alla lunga, hanno favorito proprio chi sfida apertamente l’ordine comunitario.
Ma con la nuova leadership tedesca potrebbe aprirsi un capitolo inedito: Berlino vuole più coerenza, più fermezza, meno esitazioni, e l’introduzione del voto a maggioranza qualificata per le sanzioni in ambito di politica estera e sicurezza potrebbe essere il grimaldello per scardinare la strategia ostruzionistica di Budapest, che ha ripetutamente utilizzato il suo potere di veto per proteggere gli interessi russi e sabotare misure punitive contro Mosca.
Orban nel mirino: il nuovo asse Berlino-Bruxelles cambia le regole del gioco
Se la Germania manterrà la sua promessa, l’Europa potrebbe trovarsi davanti a uno dei momenti più delicati della sua storia recente. Non è la prima volta che un leader europeo viene messo sotto accusa per la sua deriva autoritaria: già nel 2018 il Parlamento europeo aveva attivato l’Articolo 7 contro l’Ungheria, il famigerato “opzione nucleare”, che prevede la sospensione del diritto di voto per gli Stati che violano i principi fondamentali dell’Unione.
Ma la procedura si è rapidamente arenata, bloccata da veti incrociati e dalla riluttanza degli altri Paesi membri a spingersi fino in fondo. Nonostante ciò, la differenza, oggi, sta nella determinazione del nuovo esecutivo tedesco, che considera ormai insostenibile la convivenza con un partner che mina dall’interno la credibilità dell’UE.
Il concetto è semplice: se l’Unione vuole sopravvivere e avere un futuro, non può permettersi di essere ostaggio di leader che la usano come un bancomat senza rispettarne le regole.
E anche se la battaglia non sarà facile, perché Orban, pur essendo sempre più isolato, conserva ancora alleati e strumenti per resistere con una strategia che si basa su un gioco di equilibrismo tra Bruxelles e Mosca, sull’appoggio dei Paesi dell’Est più restii ad accettare un’Unione Europea troppo centralizzata, e su un’abile propaganda interna che dipinge qualsiasi attacco come un complotto occidentale contro la sovranità ungherese.
E poi c’è la variabile Francia: con Emmanuel Macron impegnato a ritagliarsi un ruolo da mediatore tra le diverse anime dell’UE, non è scontato che Parigi si allinei completamente alla linea dura di Berlino. In questo contesto, la nascita del nuovo governo tedesco potrebbe rappresentare la spinta decisiva per sbloccare il dossier ungherese, ma anche il preludio a nuove tensioni e fratture all’interno dell’Unione.
Resta dunque da capire fino a che punto l’UE sarà disposta a spingersi per difendere la sua credibilità, con il rischio di una rottura definitiva con Budapest, che potrebbe persino valutare scenari estremi come l’uscita dall’Unione o la creazione di un blocco parallelo con altri Paesi euroscettici. Ma la vera sfida per Bruxelles sarà dimostrare che non esistono Stati intoccabili, che i valori fondanti dell’UE non sono negoziabili, e che chi gioca con il fuoco, alla fine, rischia di scottarsi.