Gianluigi Nuzzi, archiviata accusa di diffamazione/ “Su De Bonis, Ior e Andreotti…”
Gianluigi Nuzzi, archiviato procedimento in cui era accusato di diffamazione: riguardava la sua inchiesta giornalistica sui rapporti tra mons. De Bonis, Ior e Andreotti

Il gip Elena Lazzarin del Tribunale di Padova ha disposto l’archiviazione del procedimento che vedeva accusato Gianluigi Nuzzi di diffamazione dal fratello di monsignor Donato De Bonis. A rivelarlo è proprio il giornalista e scrittore, nonché conduttore di Quarto Grado. Su Instagram ha infatti pubblicato un post in cui comunica la decisione del gip, «anche sulla scorta della memoria depositata dal mio avvocato Caterina Malavenda». Il monsignor Donato De Bonis, prelato dello Ior, la banca del Vaticano, «è co-firmatario del conto intestato al sette volte premier Giulio Andreotti». Gianluigi Nuzzi, autore del libro Vaticani Spa nel 2009, era tornato in Peccato Originale nel 2017 sui rapporti De Bonis-Ior. «Il giudice ha certificato che ho svolto solo il mio lavoro di giornalismo d’inchiesta. Mi dispiace Mario De Bonis», ha concluso Nuzzi rivolgendosi al fratello, appunto, di monsignor Donato De Bonis, che lo aveva denunciato.
GIANLUIGI NUZZI “SU MONS. DE BONIS, IOR E ANDREOTTI…”
In una intervista a Laici.it per presentare il suo libro, Gianluigi Nuzzi raccontò che monsignor Donato De Bonis «predispose le basi dei conti segreti, ad iniziare dal conto “Fondazione cardinale Francis Spellman”, in cui, tra le firme autorizzate, spicca quella di Giulio Andreotti, con movimentazioni, solamente ‘in contanti’, di quelli che oggi sarebbero 26,4 milioni di euro». Negli anni ’90 lo Ior finì nel mirino di Mani Pulite, ma il Vaticano negò qualsiasi chiarimento. «Il Vaticano cercò di depistare i magistrati di Mani pulite diffondendo notizie parziali e fuorvianti», spiegò Nuzzi. E aggiunse che l’archivio di monsignor Dardozzi documenta che i miliardi della tangente Enimont passati per lo Ior erano quasi il doppio.
«Ma ai magistrati non venne mai detto chi erano i titolari dei conti sui quali transitarono quei soldi, ad iniziare proprio dal conto “Spellman”, su cui Andreotti aveva potere di firma». E questo perché, proseguì Nuzzi, «Andreotti andava protetto in tutti i modi, sia appunto celando il presidente dietro l’efficace nome in codice “Omissis”, sia cercando e ottenendo notizie riservate sulle indagini milanesi “brevi manu”, sia evitando di dire che l’allora candidato al “colle”, Andreotti appunto, aveva la firma su uno dei conti incriminati».
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