Il tirocinio, o stage o come diversamente nominato, è quel periodo di esperienza lavorativa “on the job”, di durata di norma limitata, caratterizzato per una componente “forte” di apprendimento e formazione che dovrebbe favorire l’inserimento/reinserimento lavorativo delle categorie più deboli delle nostre società.
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Una misura “attiva”, insomma, del lavoro, inserita anche in molti programmi europei quali, ad esempio, “Garanzia Giovani”.
In questo quadro gli Stati membri sono responsabili degli aspetti legati ai diversi sistemi di istruzione e del lavoro, mentre l’Unione svolge un ruolo fondamentalmente di sostegno e supporto. Questa ha, ad esempio, il diritto di proporre atti normativi come ad esempio, direttive e raccomandazioni come quella, sebbene non vincolante, sulla “qualità” da garantire a questi percorsi.
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Le regole del “gioco” sono, quindi, estremamente variegate. Si pensi, solamente nel nostro Paese, ai conflitti di competenze tra amministrazione centrali e regionali su questa materia oppure si contrasti tra i datori di lavoro, che non sono, ovviamente, d’accordo, e i sindacati e le organizzazioni giovanili in merito alla possibilità di prevedere, in ogni caso, una “remunerazione” obbligatoria.
Queste sono, tuttavia, solo due delle problematiche che sembrano emergere.
Una recente analisi pubblicata dalla Corte dei conti europea evidenzia, infatti, diverse criticità relative a: definizioni di tirocinio che differiscono tra loro, disponibilità limitata di dati attendibili, elemento che ostacola l’elaborazione di politiche pubbliche basate su dati concreti, un’attuazione non uniforme della raccomandazione del Consiglio del 2014 sui tirocini di qualità negli Stati membri e potenziali differenze nelle opportunità, e nell’accessibilità, per i giovani provenienti da contesti sociali diversi.
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Il combinato disposto crea, insomma, una situazione meritevole di una particolare attenzione da parte di tutte le istituzioni, e stakeholder, coinvolte, dato che si stima che il numero di giovani che svolge un tirocinio nell’Unione ogni anno abbia raggiunto ben i 3,7 milioni.
Come spesso però accade quando si affrontano questi delicati temi il rischio è che si deleghi alla mera dimensione legislativa e alle norme la soluzione.
Il tema è, altresì, principalmente culturale e non si risolve con l’approvazione dell’ennesima direttiva o legge, ma lavorando sul cambiamento dei comportamenti partendo, magari, dal copiare le migliori esperienze già realizzate nei diversi territori.
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Il tirocinio non dovrebbe, in definitiva, rappresentare più solamente una forma, seppur legale, di “sfruttamento” e/o di lavoro sottopagato o, addirittura, una “mancia” per i nostri ragazzi.
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