Giuseppe Soffiantini: imprenditore rapito nel 1997 per 237 giorni dall'Anonima Sarda. Stasera su Rai 1 la sua storia tra torture e l'orecchio reciso al TG5
Questa sera, alle 23:55 su Rai 1, “Cose Nostre” con Emilia Brandi ripercorrerà la vicenda di Giuseppe Soffiantini, imprenditore bresciano noto per aver fondato nel 1961 il Gruppo Manerbiesi, un’azienda tessile che, sotto la sua direzione, arrivò a contare oltre 400 dipendenti, diventando un punto di riferimento per l’economia del distretto produttivo di Manerbio.
La sua vita, fino a quel momento legata alla crescita industriale e all’attività commerciale, venne stravolta la sera del 17 giugno 1997 quando, alle 22.30, un commando dell’Anonima Sarda fece irruzione nella sua villa, immobilizzò la moglie Adele Mosconi e la domestica rinchiudendole in cantina, poi trascinò Giuseppe Soffiantini su una Fiat Croma, dando inizio a uno dei sequestri più lunghi e mediaticamente impattanti della storia criminale italiana.
Il gruppo era composto da Mario Moro, ex pastore di Ovodda ritenuto il capo, insieme ai pregiudicati Giorgio Sergio e Osvaldo Broccoli – entrambi originari di Cesena – con Agostino Mastio alla guida dell’auto e la complicità, secondo le indagini, del manerbiese Pietro Raimondi; il sequestro durò 237 giorni, trasformando Soffiantini da imprenditore riservato a volto-simbolo della piaga del banditismo, in un’operazione che mobilitò l’opinione pubblica e le forze dell’ordine come raramente accaduto ma a sconvolgere ancora di più il Paese fu l’invio alla redazione del TG5 di un frammento dell’orecchio reciso dell’ostaggio, un’immagine che Enrico Mentana mostrò in diretta nazionale, destinata a restare impressa a lungo.
Giuseppe Soffiantini: sequestro, riscatto e domande ancora aperte
Durante il sequestro, Giuseppe Soffiantini venne spostato tra rifugi montani nella Calvana e casolari isolati tra Grosseto e Siena, sorvegliato da Attilio Cubeddu e Giovanni Farina (nomi che diventeranno centrali nel processo successivo) ma il punto di rottura fu raggiunto quando i rapitori, nel tentativo di forzare la trattativa, recisero entrambi i padiglioni auricolari dell’imprenditore, inviandone un frammento ai media.
La mossa generò un caos generale culminato nel blitz di Riofreddo del 17 ottobre 1997, un’operazione che si concluse con la morte dell’ispettore dei NOCS Samuele Donatoni e la fuga dei rapitori e dopo otto mesi di prigionia — tra pressioni psicologiche, spostamenti forzati e condizioni fisiche provate — Giuseppe Soffiantini fu liberato il 9 febbraio 1998 a Impruneta, in provincia di Firenze, in seguito al pagamento di un riscatto di 5 miliardi di lire.
Una somma importante, che in seguito, divenne oggetto di altre polemiche con il generale dei carabinieri Francesco Delfino, responsabile della trattativa, che fu condannato a quattro anni per aver rubato parte dei soldi, dando adito a possibili collusioni interne mai del tutto chiarite realmente; nel 2001, Giovanni Farina fu estradato dall’Australia ma Giuseppe Soffiantini — nonostante la pressione mediatica e giudiziaria — rifiutò sempre di riconoscerlo come uno dei suoi aguzzini.
Cubeddu, invece, sparì misteriosamente e, secondo alcune ipotesi, potrebbe essere stato eliminato per motivi legati alla spartizione del riscatto, anche se le ricerche effettuate in Ogliastra nel 2012 non portarono a nulla di concreto; con la morte di Giuseppe Soffiantini, avvenuta nel marzo 2018, molti aspetti del caso sono rimasti sospesi — tra cui il destino di 1,7 miliardi di lire mai recuperati — lasciando dietro di sé non solo una pagina buia della cronaca italiana, ma anche diverse domane su una stagione di criminalità violenta in cui giustizia, dolore e istituzioni si sono incrociati in modo spesso ambiguo e controverso.