GIUSTIZIA/ Strappi, ritardi e incoerenze, cosa nasconde davvero il “caso Nordio”

- Antonio Pagliano

Riforma della giustizia in alto mare. Ed anche incoerente. Nordio sta pagando il prezzo di molte contraddizioni interne al Governo

nordio 1 ansa1280 640x300 Carlo Nordio, ministro della Giustizia (Ansa)

La ricorrenza pasquale, che rappresenta per certi versi l’evocazione della più articolata vicenda giudiziaria che l’umanità ricordi, stimola una riflessione sullo stato di salute del nostro sistema-giustizia o, meglio, sull’azione di riforma portata avanti dalle forze di Governo.

L’avvio del percorso di riforma non è stato dei più promettenti. A fronte della nomina di un ministro come Nordio che da giurista colto e liberale aveva sempre professato la necessità di procedere a una significativa azione di depenalizzazione, i primi passi del Governo Meloni sono andati nella direzione dell’introduzione di nuovi reati: rave illegali, traffico di migranti, violenza di genere, violenza contro il personale sanitario, omicidio nautico, oltre all’incremento delle sanzioni per i piromani e per chi imbratta i muri. Dal punto di vista del diritto sostanziale, il Governo non ha sin qui espresso una visione progettuale ma si è limitato a perseguire un canovaccio in realtà già seguito anche dalla maggior parte dei precedenti governi: il caso di cronaca determina una reazione mediatica che tra proclami e fanfare culmina con una legislazione di emergenza che ingrassa ulteriormente la pancia del codice penale. Quindi, non esattamente la cura dimagrante tanto cara a Nordio.

L’unico reato soppresso sino a questo momento è stato l’abuso d’ufficio. Soppresso in parte, perché per la verità dopo un anno di gestazione, la legge attende ancora l’approvazione definitiva. Il provvedimento in questione sta infatti boccheggiando nel terzo giro di audizioni, dopo quello alla Camera e il successivo al Senato. I rallentamenti sono un tratto comune di questi mesi sul fronte della riforma della giustizia. Un certo rallentamento si registra infatti anche sul fronte della prescrizione, che da queste pagine abbiamo già definito sacrosanta, pur prendendo atto della resistenza dei presidenti delle corti d’appello d’Italia. L’accordo politico è stato raggiunto alla Camera, ma inopinatamente i tempi sono slittati a data da definirsi.

Sul fronte processuale non va poi tanto meglio. La sbandierata separazione delle carriere, pronta per essere votata, si è anch’essa arenata, pare con la complicità della premier intenzionata a perseguire prioritariamente l’obiettivo del premierato. Mentre incombono le scadenze del PNRR, l’azione del Governo segue rotte non sempre intellegibili. È il progetto di fondo a non essere del tutto chiaro. Con un colpo ad effetto, il Governo ha varato la simbolica introduzione dei test psico-attitudinali per i magistrati. Provvedimento che ha sollevato un putiferio assai superiore agli effetti pratici che produrrà. Forse peccando di superficialità, in molti, fra cui chi scrive, pensano che si conteranno sulle dita di una mano coloro che nei prossimi anni, dopo aver superato le due prove scritte, non supereranno la prova psico-attitudinale. Nella mailing list dei magistrati circola una lettera aperta di 108 toghe – in servizio ed in quiescenza – rivolta ai componenti laici e togati del CSM “affinché, nell’esercizio delle loro prerogative ordinamentali, esprimano, a tutela del prestigio e del valore costituzionale dell’indipendenza dell’Ordine giudiziario, un motivato e deciso parere contrario” all’approvazione dello schema di decreto attuativo, avvenuta durante il Consiglio dei ministri lo scorso 26 marzo e già firmato dal presidente Mattarella.

Secondo i firmatari “l’equilibrio dei magistrati si misura sul campo e non certo alla vigilia della loro assunzione”. Ecco, siamo d’accordo. Andiamo dicendo da tempo che la vera questione cui occorrerebbe mettere mano è quella relativa alla responsabilità dei magistrati. Se l’equilibrio si misura sul campo, cerchiamo seriamente di valutarlo sul campo, facendo in modo che i magistrati vengano chiamati a rispondere delle loro erronee valutazioni quando esse si consumano lasciando tracce indelebili sulla pelle dei cittadini.

Insomma, occuparsi di giustizia in questo paese non è certo cosa facile, e Nordio lo sa. Proprio per questo, una persona perbene, colta, attenta al tema delle garanzie come l’attuale ministro, oltre a essere costantemente tirato per la famosa giacchetta, appare per molti versi a rischio. Ricordiamo che Nordio non è espressione diretta di alcun partito e la premier lo scelse proprio in virtù del suo noto spirito libero. Ora, però, quella libertà sembra ritorcersi contro di lui. L’atteggiamento da battitore libero, da tecnico prestato al Governo si sta purtroppo dimostrando un punto debole. Egli viene tacciato di ingenuità politica, ma forse la vera ingenuità è stata commessa da chi, nonostante del giustizialismo si sia sempre nutrito, ha invece scelto un esponente di cultura liberale.

Da qui nasce la vera contraddizione che genera ciò che caratterizza questo primo anno di Governo Meloni, la cui cartina al tornasole è rappresentata dal fatto che mentre si criticano le invasioni di campo dei magistrati nell’iniziativa legislativa del governo e nell’attività del Parlamento, contemporaneamente si assegna alle toghe il monopolio sulla riforma della magistratura facendola scrivere a una commissione composta da 18 magistrati, 5 docenti e 3 avvocati.

Dopo due millenni, non pare definitivamente chiarita quale fosse la contestazione per la quale Gesù fu tratto a giudizio; non è ancora chiaro se si sia trattato di un vero processo e in caso affermativo se sia stato unico o diversificato in più procedimenti distinti tra loro; di certo non viene pronunciata una sentenza di condanna nei confronti di Gesù, ma questi è semplicemente consegnato alla morte in croce; infine, non è chiaro quale autorità lo abbia crocifisso, i sommi sacerdoti, il sinedrio, Ponzio Pilato ed Erode Antipa: come dire, una catena di responsabilità rispetto alla quale non risulta del tutto chiaro a chi sia attribuibile la responsabilità finale (vizi antichi che si perpetuano). Ebbene, di fronte alle molte domande irrisolte che avvolgono i misteri del processo a Gesù, assai più banale appare quella relativa al modello di giustizia verso cui stiamo tendendo. Come spiegava Salvatore Satta, nel giudizio si annida il mistero della vita. Sicuramente in questi secoli moltissimi significativi passi avanti nella gestione della giurisdizione penale sono stati compiuti, ma non di meno resta ancora molto lavoro da fare e soprattutto più di qualche tabù deve essere finalmente infranto.

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