La globalizzazione non va ripensata perché, a dispetto di “qualche marginale controindicazione”, “nel corso dei decenni ha affrancato miliardi di persone dalla fame in Cina o in India, perché ha aperto i mercati degli scambi e del lavoro e perché il suo rovescio, ovvero la frammentazione di un mondo che pure resta interconnesso, porta al protezionismo e all’isolamento”. È la tesi sostenuta dall’economista Nouriel Roubini della New York University, illustrata in una lunga discussione pubblicata su La Repubblica.
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Secondo l’analisi dell’economista, pur immersi nella globalizzazione ci troviamo a vivere in una “permacrisis”, cioè una crisi permanente la cui ultima manifestazione è l’ondata di rincari e di inflazione conseguente alla guerra in Ucraina. “Ci sono dei fattori di incertezza e destabilizzazione mondiali tuttora irrisolti – spiega Nouriel Roubini – a partire dall’indebitamento che ha raggiunto, fra pubblico e privato, il 420% del Pil mondiale. Negli anni ’70 era in media del 100% nei Paesi industrializzati” nonostante le due crisi petrolifere del 1973 e del 1979, mentre a oggi “i debiti hanno imboccato una spirale ascensionale irrefrenabile”. E l’attualità gioca un ruolo molto importante, tra guerra e pandemia.
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Roubini: “con la guerra, nuove accuse su Cina dopo tentativi di ricucire i rapporti”
Nouriel Roubini, economista, tra le pagine de La Repubblica mette in evidenza come in seguito alla pandemia “si erano create strozzature nella catena delle forniture e carenze produttive, soprattutto perché la Cina è ripartita con ritardo, che avevano fatto lievitare i prezzi. Poi è partita la brutale aggressione all’Ucraina che oltre a lasciare tutti sotto shock, ha fatto impennare ulteriormente l’energia, gli alimentari, i fertilizzanti”. La guerra, inoltre, “oltre a escludere la Russia da qualsiasi corrente di sviluppo per chissà quanti anni, ha riacceso le tensioni con la Cina, accusata di ambiguità, proprio quando si stava tentando una paziente ricucitura”.
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E così “mentre si combatte quella che ormai è diventata una proxy war, una guerra per procura Nato-Russia, e una seconda guerra fredda con la Cina, l’intero occidente vive un periodo di stagflazione: alta inflazione, bassa crescita, forti paure. Il peggior mix non solo per l’economia. La fine della globalizzazione, perlomeno della globalizzazione sana e positiva, ne è un’ennesima conseguenza”.