La Commissione europea si appresta a bocciare il golden power del Governo italiano su Unicredit-Banco Bpm: una scelta che fa discutere
La Commissione europea nei prossimi giorni invierà una lettera al Governo italiano per contestare la decisione di imporre il “golden power” sul tentativo di acquisizione di Banco Bpm da parte di Unicredit. Secondo Bloomberg, che ieri pomeriggio ha dato l’esclusiva, la Commissione europea sosterrà che secondo le regole comunitarie sulle fusioni solo Bruxelles ha il potere legale di imporre condizioni. La notizia ha fatto chiudere al rialzo sia le azioni di Banco Bpm (+3,6%), sia quelle di Unicredit (+1,9%), perché per gli investitori l’intervento della Commissione spiana la strada all’acquisizione.
Al cuore della questione del golden power c’è la preoccupazione del Governo, e della Lega in particolare, per l’accesso al credito delle imprese italiane. È una preoccupazione trasversale in Europa perché sia l’atteggiamo della Spagna di Sanchez, socialista, con l’opposizione all’acquisizione di Sabadell da parte di Bbva che quello della Germania di Merz, democratico-cristiano, con l’ostilità all’intervento di Unicredit in Commerzbank, somigliano moltissimo a quello del Governo Meloni. Anzi, gli interventi messi in campo da Madrid e le dichiarazioni del Governo tedesco, che settimana scorsa ha ignorato le richieste di Unicredit di un incontro, sorpassano per intensità quelle dell’Esecutivo italiano.
I Governi vogliono essere sicuri che il sistema bancario sia sufficientemente diversificato per poter parlare con tutti gli interlocutori industriali, sia quelli grandi sia quelli medio-piccoli; essi temono che un’eccessiva concentrazione privi alcuni segmenti del sistema industriale dell’interlocutore più adatto oppure che un numero eccessivamente piccolo di operatori molto grandi renda più costoso il credito.
Negli ultimi mesi alcune delle regole profonde dell’Unione europea e del mercato unico sono state violate unilateralmente dagli Stati in assenza di qualsiasi dibattito “in Europa”. La prima violazione riguarda la scelta della Germania di non rispettare i limiti di deficit per finanziare il riarmo. Siccome non c’è un esercito europeo, ma c’è un esercito tedesco, e siccome bisogna fare in fretta allora si è deciso che è bene che le regole non valgano più e che uno Stato si faccia carico, senza un dibattito formale, di ignorarle.
La seconda violazione minaccia l’essenza stessa del mercato unico. La Germania approva aiuti di Stato per miliardi di euro alle proprie imprese per salvare l’industria chimica o l’acciaio, in quanto strategiche, e sussidi per la bolletta energetica delle proprie imprese per salvarle da costi dell’elettricità che le mettono fuori competizione. L’importo di questi interventi e la loro durata distorce il mercato unico europeo al punto da renderlo irriconoscibile perché nessun altro Stato europeo ha lo stesso spazio fiscale tedesco ma invece la valuta, e tutte le altre regole incluse quelle sul green, sono le stesse.
Secondo il Financial Times, il ministro dell’Economia tedesco, Katherina Reiche, avrebbe predisposto un piano per estendere il numero di imprese tedesche idonee a ricevere sussidi energetici da 350 a 2.200 per un importo pari alla metà della bolletta. Il ministro starebbe facendo pressione su Bruxelles perché accetti il piano; Reiche starebbe facendo leva sull’argomento che un maggiore supporto statale all’industria pesante tedesca è un bene per l’eurozona in quanto beneficia la sua principale economia.
L’argomento si riduce a una logica semplice: dato che è un bene per l’economia tedesca, allora è un bene per l’Europa e quindi non è il caso di opporre le regole sul mercato unico. Non sappiamo come finirà questa polemica, anche se lo sospettiamo, ma con questi precedenti e queste logiche non si capisce cosa rimanga dell’Unione anche ammettendo che ci sono sempre Stati membri di serie A e di serie B.
Dopo mesi di rotture unilaterali dei limiti sul deficit e delle più basilari regole del mercato unico l’Italia potrebbe semplicemente rispondere alla Commissione europea, almeno sulla forma, che ciò che è bene per il sistema industriale italiano, e in particolare per le Pmi, è un bene anche per l’Europa e quindi pazienza per le regole europee. Diversamente i tentativi di imporre regole asimmetriche rischiano solo di accelerare e rendere più cattiva una disgregazione che sembra vicina al punto di non ritorno.
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