Niger, il ministro degli Esteri in esilio: “Il mio Paese ostaggio di una gang”
Hassoumi Massaoudou, ministro degli Affari Esteri del Niger dal giorno del colpo di Stato a Niamey, è seriamente preoccupato per il futuro del suo paese. Dalle sue parole riportate dal quotidiano La Repubblica emerge grande apprensione per il domani della nazione, appesa a scenari alquanto incerti e drammatici. “Non ci sono alternative all’intervento militare che è la sola opzione che permetterebbe di salvare il Niger e garantire la stabilità della regione del Sahel”, ha spiegato Massaoudou dopo il golpe militare iniziato circa un mese fa.
Il paese adesso è in mano all’autoproclamato leader Abdourahmane Tchiani, che ha giustificato la presa del potere sulla base della necessità di “intervenire” per porre rimedio a una serie di problemi di sicurezza, economici e di corruzione. “Hanno chiuso le porte ad ogni possibile tentativo di negoziazione”, ha commentato il ministro Massaoudou, prospettando scenari a suo avviso necessari e inevitabili.
Massaoudou indica la via per rispondere al golpe: “Non ci sono alternative all’opzione militare”
“Non ci sono quindi alternative all’opzione militare che è la sola che permette di salvare il Niger e garantire la stabilità della regione. Si tratta di un intervento di polizia, non una guerra contro il Niger”, ha precisato il ministro. Nell’intervista riportata da Repubblica, ha dunque fatto il punto della situazione e spiegato le possibili soluzioni per uscire da questo momento drammatico. “L’esercito nigerino non si batterà per difendere i golpisti: il nostro esercito si batte per la patria non per gli interessi di un gruppo di delinquenti”.
“Burkina Faso e Mali? Sono due Paesi il cui governo non è in grado di controllare l’integralità del territorio, e in particolare le zone di frontiera col Niger, quindi non potranno realisticamente offrire alcun sostegno. L’intervento militare sarà un’operazione di polizia, rapida ed efficace”, ha aggiunto. Per Massaoudou fermare il golpe è fondamentale, soprattutto per preservare gli equilibri della regione e per evitare la possibile espansione del terrorismo jihadista.