Dalla politica della cessione dei territori in cambio di pace, che aveva portato a lasciare Libano del Sud e Gaza, a quella che prevede la creazione di fasce di sicurezza che impediscano ad Hamas di fronteggiare direttamente la popolazione dei kibbutz israeliani. La grande operazione di terra di Israele partita nei giorni scorsi, spiega Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, oltre che a cancellare Hamas, mira anche questo: a creare una zona cuscinetto nel Nord della Striscia.
Le sorti di Gaza nel dopoguerra, intanto, non sono state ancora definite: dipenderà anche da come andranno le operazioni militari. L’allargamento del conflitto non conviene a nessuno; Hezbollah, però, potrebbe attaccare proprio quando l’IDF sarà impegnato nella battaglia per la città di Gaza, nel tentativo di smantellare la rete dei terroristi con i suoi 400 chilometri di cunicoli sotterranei, messi a rischio anche dalla mancanza di carburante per far funzionare il sistema di areazione.
L’attacco di Israele è iniziato a Nord della Striscia, ma l’operazione fino a dove può arrivare?
Gli israeliani hanno cominciato questa operazione terrestre tra il 27 e il 28 ottobre, smentendo che fosse l’operazione vera e propria e presentandola come una puntata offensiva. In realtà non è così. Quell’azione ha portato Israele a occupare 6 km quadrati nel Nord con un prolungamento sulla fascia costiera di circa 3 km. Una zona dalla quale gli israeliani hanno continuato ad avanzare fino alla periferia di Gaza, raggiungendo un incrocio viario importante per la separazione del Centro-sud della Striscia da Gaza City. Una situazione che preannuncia la battaglia per la città di Gaza, dove sono concentrate le forze militari di Hamas, le rampe di lancio per i razzi, la gran parte dei depositi di armi, dei rifugi, insomma il grosso delle forze nemiche.
Il disegno finale può essere quello di svuotare la Striscia facendo uscire i palestinesi?
Credo che l’obiettivo israeliano sia di cancellare Hamas dalla Striscia. L’idea di voler buttare fuori 2 milioni e 200mila palestinesi mi pare un po’ azzardata. Più facile trovare un accordo con i Paesi vicini per fare uscire Hamas una volta sconfitto. Molto dipenderà dall’andamento del conflitto: se dovesse allargarsi e configurarsi una coalizione arabo-islamica che combatte Israele, a quel punto qualunque iniziativa di Gerusalemme potrebbe risultare legittimata. Stando ai fatti, Israele sta cercando di demolire le capacità militari e i vertici militari di Hamas che sono nella Striscia. I vertici politici restano nel Qatar.
E una volta distrutta Hamas? Cosa potrebbe avere in mente di fare l’IDF?
Questa distruzione è propedeutica al controllo che Israele vorrà mantenere su una porzione settentrionale della Striscia, in modo da avere quella fascia di sicurezza che permetterebbe di non avere subito i miliziani di Hamas a ridosso dei kibbutz israeliani. Ha un valore militare limitato, tattico, ma un grandissimo valore politico e simbolico: dal 2000 a oggi si è seguita la strategia di cedere territori in cambio di pace, come era successo nel Sud del Libano e con la stessa Gaza. Se Israele comincia a ricostituire delle fasce di sicurezza di fatto rinuncia a quel progetto, caldeggiato da americani ed europei, istituendo zone a questo scopo in territori che legittimamente non gli appartengono. Questo vorrebbe dire ridurre ulteriormente le dimensioni della già piccola Striscia di Gaza e quindi peggiorare le condizioni di vita dei suoi abitanti.
Il governo Netanyahu ha valutato anche altre opzioni?
Nei vertici politici israeliani si è parlato anche di cambiare i connotati a Gaza, ma questo vorrebbe dire restituire i territori all’ANP, permettere a una forza internazionale di presidiare il territorio, aprire, insomma, una serie di incognite che riguarderanno le trattative politiche che si svilupperanno. Nessuna trattativa potrà prendere piede fino a che Israele non avrà terminato l’operazione di bonifica della Striscia da Hamas.
La bonifica di Hamas la vogliono eseguire in tutta la Striscia?
Se vogliono attuarla in tutta la Striscia ci vorrà qualche mese e un sacco di perdite anche fra le truppe israeliane. I caduti ammessi da Israele in battaglia sono già oltre 300. Anche espugnare Gaza City potrebbe essere un’operazione di qualche settimana. Un alto ufficiale iraniano ha detto che ci sono 400 km di tunnel: proprio i pasdaran iraniani hanno aiutato Hamas nella realizzazione di questi cunicoli a 40-50 metri sottoterra. Per essere praticabili hanno bisogno di condizionatori d’aria alimentati da carburante. Per questo c’è tutta un’operazione israeliana tesa a non far entrare carburante nella Striscia. Sarà una guerra lunga e difficile. Nel frattempo c’è tutta una campagna propagandistica sulle vittime civili che cerca di far leva, come è sempre stato in passato, sull’opinione pubblica, sulle leadership, affinché premano su Israele perché fermi le offensive.
Il ministero della Sanità di Gaza ha dichiarato che i raid israeliani hanno causato 8.500 morti. Dati attendibili?
A quello che dice il ministero della Sanità di Gaza, che è una emanazione di Hamas, credo quanto ai comunicati dello Stato maggiore ucraino che sostiene di avere ucciso 300mila soldati russi dall’inizio della guerra. Sono tutte fonti di parte. Sono certo che a Gaza muoiono anche dei civili, anche perché Hamas non si è mai fatto scrupolo di usarli come scudi umani, però non possiamo basarci sui numeri che vengono dati da un ministero palestinese. Anche i reporter a Gaza si muovono dove li porta Hamas.
Una volta che gli israeliani avranno occupato militarmente la Striscia hanno intenzione di restare?
Non lo so. Israele ha dovuto fare piani di contingenza perché non si aspettava di combattere a Gaza: prima dell’attacco quello non era un fronte caldo, lo era la Cisgiordania, con gli scontri intorno agli insediamenti ebraici. La pianificazione sul futuro di Gaza credo che non sia stata ancora dettagliatamente preparata, richiederà anche valutazioni politiche che tengano conto dei rapporti internazionali e con l’ANP, con il mondo arabo.
Iran e Paesi arabi sembrano restare alla finestra, senza che vi siano reazioni particolari all’operazione militare di Israele. Da dove viene il pericolo di un allargamento della guerra e come hanno intenzione di agire gli altri attori regionali?
Israele ha ammonito Hezbollah perché non entri pesantemente in guerra. Hamas ha ringraziato tutti ma ha detto anche che dalla Cisgiordania e dal Libano si aspettava qualcosa di più. Credo che Hezbollah potrebbe attaccare pesantemente il Nord di Israele nel momento in cui le forze di Gerusalemme saranno impegnate con un paio di divisioni dentro Gaza. Con le truppe infognate nei combattimenti casa per casa un attacco da Nord potrebbe avere un peso militare importante. Politicamente, tuttavia, nessuno vuole lo scontro diretto con Israele. Né la Siria, né il Libano. L’obiettivo politico-strategico che Iran e Qatar, i due sponsor militare e finanziario di Hamas, hanno conseguito con l’attacco del 7 ottobre è di aver fatto reagire Israele facendo saltare i tentativi di avvicinamento con i Paesi del mondo arabo. Iran e Hamas hanno già vinto. Israele potrà farla pagare ad Hamas e agli alleati, ma quando sarà finito tutto la soluzione potrebbe essere di lasciare che Hamas esca da Gaza per andare in Siria, dove potrà continuare a essere una minaccia, ma non ai confini meridionali del Paese. Non sarebbe più neanche una spina nel fianco per l’Egitto, ragione per cui un’operazione del genere potrebbe avere qualche appoggio anche nel mondo arabo.
Hamas ha liberato un altro ostaggio, una donna soldato. L’azione di terra può creare le condizioni per lasciarne andare altri?
Penetrando nella Striscia i soldati israeliani hanno la possibilità di intervenire se localizzano le prigioni, dall’altro lato comunque espongono gli ostaggi a rischi di rappresaglie e di esecuzioni. Mi aspetto che vengano liberati gli israeliani con il passaporto russo per i quali Hamas ha negoziato a Mosca accompagnato dall’Iran. Mi aspetto anche che le forze speciali riescano a scovare e liberare altri ostaggi e qualche trattativa che porti a uno scambio, anche se non allo scambio generale.
Nel Daghestan un aereo israeliano è stato preso d’assalto per dare la caccia all’ebreo, in Francia la polizia ha bloccato una donna che voleva farsi esplodere. La minaccia terroristica è sempre in agguato?
Sicuramente. Questa guerra ha riacceso la contrapposizione tra l’islam e il resto del mondo. Ogni nazione che abbia ampie componenti islamiche rischia azioni di questo tipo. Il Daghestan dopo la Cecenia è stata la zona che ha dato più problemi alla Federazione Russa rispetto alle insurrezioni islamiste. Lo stesso capo della Cecenia Kadyrov, islamico, ha detto: “Comprendiamo la preoccupazione per Gaza ma ricordatevi che questo tipo di insurrezioni verranno represse violentemente”. Un esponente di Hamas ad Agorà, su Rai3, ha detto che l’Italia è coinvolta nell’aggressione ai palestinesi. Dichiarazioni anche minacciose: Hamas ha esortato gli islamici di tutto il mondo a insorgere contro Israele e i suoi alleati.
(Paolo Rossetti)
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