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Home » Economia e Finanza » I CONTI DELL’ITALIA/ I numeri impietosi che invocano il piano Bazoli-Tremonti

  • Economia e Finanza

I CONTI DELL’ITALIA/ I numeri impietosi che invocano il piano Bazoli-Tremonti

Sergio Luciano
Pubblicato 25 Aprile 2020 - Aggiornato alle ore 07:56
Giuseppe Conte alla Camera con Paolo Gentiloni e Roberto Gualtieri (LaPresse)

Giuseppe Conte alla Camera con Paolo Gentiloni e Roberto Gualtieri (LaPresse)

Il Cdm ha partorito un topolino: la crisi è gravissima, i rimedi annunciati totalmente insufficienti. Il governo non ha soluzioni. Però ha detto al verità sui conti

Il mondo è come impazzito, e l’ennesimo topolino partorito dal Consiglio dei ministri italiano può sembrare perfino il fratello maggiore di quella minutissima cavia nata dal Consiglio europeo dell’altro ieri, che ha rinviato al 6 maggio una proposta della Commissione che, di passaggio in passaggio, arriverà a trasformarsi in erogazione concrete di fondi solo da gennaio 2021 in poi.


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E dunque come stupirsi degli annunciatissimi e scontati e insufficienti 55 miliardi di scostamento di bilancio autorizzati dal governo per i conti pubblici del 2020, e destinati ora a transitare per l’approvazione del nostro Parlamento prima di potersi trasformare in provvedimenti operativi?

È una vera e propria distopia quella che sembra aver colto Giuseppe Conte e Roberto Gualtieri, i due principali responsabili di queste scelte – ahiloro.


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Per capirci: la situazione oggettiva dell’economia – di cui in fondo loro non sono responsabili, il crollo del Pil dell’8 o più probabilmente del 10 per cento sarebbe capitato con qualsiasi governo – porterà il rapporto tra il debito pubblico e il Pil, a fine anno, oltre quota 155%. E cosa fa il governo? Si preoccupa di informarci che tra questo e il prossimo anno privatizzerà beni pubblici per ricavarne 3 miliardi di euro e abbattere il debito dello 0,2%. Tre miliardi, capito? Come curare un malato di Hiv con la pomata per i foruncoli.

D’altronde, tutta la linea politica del Conte 2, a confronto con lo stile di uno statista, sembra il pensierino di un bimbetto di seconda elementare. Come se Winston Churchill, nel memorabile discorso alla nazione in cui promise “lacrime e sangue” per ottenere la vittoria finale contro Hitler, avesse detto: “Vi prometto the con pasticcini”.


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Tranquilli, sono comunque promesse vane. Vi ricordate la “potenza di fuoco” da 400 miliardi vagheggiata da Gualtieri un mese fa, nel presentare al Paese il decreto liquidità? Appunto: una pistola ad acqua, altro che fuoco. A fronte della quale sono stati stanziati la ridicolaggine di 37 miliardi, per garantire la liquidità. A fronte della quale è stato scaricato sulle banche l’onere di finanziare imprese per lo più infinanziabili, visto che chiedono dichiaratamente soldi per coprire perdite. E visto anche che il governo si è guardato bene dall’offrire alle banche la manleva penale per permettere loro di certificare il merito di credito a vantaggio di debitori dei quali nessuno può in buona fede postulare la continuità aziendale. Dunque se le banche diranno di sì alle richieste di soldi garantiti dallo Stato al 90%, non si accolleranno soltanto il 10% del rischio – sarebbe il minimo – ma anche il rischio ben peggiore di beccarsi, in caso di fallimento dell’insolvente, un’accusa per bancarotta fraudolenta preferenziale, per avere privilegiato un debito garantito agli altri, oltre che una richiesta di rivalsa dallo Stato – che quindi non si rassegnerebbe tanto facilmente a coprire il 90% di sua responsabilità – per incauto esercizio del ruolo di verifica creditizia.


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E ancora: a leggere le cifre dell’aggiornamento del Documento economico finanziario approvato ieri vengono i brividi.

Non per la premessa, quasi puerile nel tentativo di giustificare piagnucolando il disastro: “Se non si fosse materializzato il cigno nero della crisi epidemica”, si legge nella bozza del Def, la ripresa economica prevista quest’anno dello 0,6% (ma quale ripresa, la chiamano ripresa?) “avrebbe condotto a una modesta espansione nel primo trimestre dell’anno, rendendo raggiungibile la previsione di crescita annua dello 0,6% formulata nella Nadef di settembre 2019”. Appunto: niente.


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Poi c’è stato il virus. Ed ora: i consumi sono previsti in calo del 7,2%, gli investimenti fissi lordi si ridurranno del 12,3%, le esportazioni si ridurranno del 14,4% e le importazioni del 13,5%. I redditi scenderanno del 5,7%. La riduzione sarà comunque più contenuta di quella della spesa delle famiglie, la cui propensione al risparmio – anche grazie a questi risparmi di spesa – aumenterà superando il 13% su base annua. I redditi dovrebbero tornare a crescere nel 2021, con un aumento del 4,6%.

Si arriva così al calcolo del deficit aggiuntivo in 55 miliardi, con 20 miliardi di entrate fiscali in meno, e un fabbisogno da finanziare che dovrebbe superare addirittura i 161 miliardi. L’effetto congiunto della recessione e del deficit innalzerà il rapporto debito/Pil al 155,7%, per un totale di 2.600 miliardi (+190 sull’anno scorso), pari a 43.100 euro per ciascun cittadino italiano…


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Il che condanna l’Italia, per riavvicinarsi alla media del debito dell’eurozona, a 10 anni di forti surplus di bilancio, cioè ancora di austerità…

Per la cronaca: il deficit sarà del 10,4%, come nel ’92 – quando Amato scodellò agli italiani la maximanovra finanziaria estiva da 90mila miliardi col prelievo forzoso del 6 per mille dai conti correnti. Tra le altre misure previste ieri, la ricapitalizzazione della Cassa depositi e prestiti, che toccherà i 50 miliardi, più i 30 miliardi stanziati a copertura parziale del decreto liquidità, mentre 12 miliardi andranno a coprire la cassa integrazione e 7 l’indennità di 800 euro (non più 600) per le partite Iva individuali. E vari spiccioli.

A fronte della imponente ma ancora vacua (e futuribile) dimensione degli interventi europei, il governo italiano neanche prova a immaginare misure forti e nazionali di autofinanziamento (quel “altrimenti faremo da noi” promesso/minacciato da Conte un mese fa, nella sua impotente intemerata contro il Mes). Nessun riferimento a quella maxi-emissione di titoli di Stato speciali, magari trentennali, magari riservati a controparti italiane, magari non vendibili per tre anni, magari esentasse ed ereditabili senza imposta di successione che piace a Bazoli, a Tremonti, a tanti altri ma che se venisse proposta da leader senza credibilità rischierebbe di ridicolizzarli costringendoli a dimettersi.

Nell’insieme, la prima e seconda sensazione di inconsistenza – quelle legate ai decreti economici fin qui presentati – si confermano in pieno: siamo nelle mani di nessuno.

Con due piccoli passi avanti, però: finalmente un po’ di verità sui conti, gravissimi, che ci aspettano. Nessuna resipiscenza, è che i numeri sono numeri, e se non sei un dittatore come gli amici Xi Jinping e Vladimir Putin, non li puoi truccare neanche se lo desidereresti.

E soprattutto: per stavolta Standard and Poor’s ci ha graziati, lasciando il rating a Bbb, con prospettive negative (e ci mancherebbe!) e comunque la Banca centrale europea ha fatto sapere che è pronta anche a comprare junk-bond pur di difendere l’euro. Siamo troppo grandi perché ci lascino fallire.

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