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Home » Energia e ambiente » I COSTI DELLA GUERRA/ Così lo scontro Hamas-Israele riavvicina la crisi energetica in Europa

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I COSTI DELLA GUERRA/ Così lo scontro Hamas-Israele riavvicina la crisi energetica in Europa

Paolo Annoni
Pubblicato 11 Ottobre 2023
Ursula von der Leyen (LaPresse)

Ursula von der Leyen (LaPresse)

La situazione in Israele ha portato a un rialzo dei prezzi del gas e del petrolio e riporta lo spettro della crisi energetica in Europa

I rialzi del prezzo del gas e del petrolio degli ultimi due giorni a causa del conflitto in Israele non hanno, per ora, una giustificazione “fisica”. Non ci sono stati, come nel caso del Nord Stream 2, interruzioni; i rialzi riflettono, però, un premio politico perché qualsiasi surriscaldamento in Medio Oriente si porta dietro preoccupazioni su un’area che ha un ruolo chiave nella produzione globale di idrocarburi. Il premio politico è una funzione della crisi che si sta sviluppando in questi giorni e incorpora il rischio che questa si trasformi fino a toccare le produzione e i flussi di idrocarburi.


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Settimana scorsa la Presidente della Commissione europea von der Leyen dichiarava, da Granada in Spagna, che l’Europa si era “liberata della dipendenza dei combustibili fossili russi” e citava, a questo proposito, la diminuzione della percentuale di gas e petrolio russi sul totale delle importazioni europee concludendo che l’Europa aveva “superato la crisi energetica”. Ursula Von der Leyen non poteva prevedere quello che sarebbe successo di lì a qualche giorno, ma era comunque alla guida di un’unione in cui i prezzi dell’elettricità sono doppi o tripli rispetto al 2021 e che ha forniture molto più volatili e precarie di quanto non fosse prima delle sanzioni. Oggi l’Europa dipende dai mercati globali, sicuramente quello del gas liquefatto, che prima invece rivestivano un ruolo marginale proprio grazie alla forniture russe, stabili ed economiche a prescindere dal contesto internazionale.


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La Russia è stata “sostituita” dal gas liquefatto, dall’Azerbaijan, dal Qatar. Parte del gas russo, in realtà, continua a arrivare in Europa via nave e alcuni Paesi, in primis la Spagna, oggi importano più gas russo di quanto non avvenisse nel 2020. Il risultato però non cambia; anche in questo caso le forniture sono più volatili. Da febbraio a venerdì scorso i mercati energetici europei hanno vissuto una relativa calma. Nonostante questo i prezzi del gas a un anno sono rimasti sensibilmente superiori a quelli di breve termine a testimonianza del fatto che il mercato non ha mai veramente creduto che la crisi “fosse risolta”.


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Anche il prezzo del gas americano è salito negli ultimi due giorni. La differenza, non da poco, è che venerdì negli Stati Uniti il prezzo era sugli stessi livelli del 2019, mentre in Europa era tre volte più alto.

L’Europa, che non ha risorse proprie, ha un problema strutturale perché ha catene di fornitura energetiche più fragili dei propri concorrenti. L’India, che si sta reindustrializzando, oggi importa dalla Russia come venerdì a prezzi stabiliti.

Lunedì, a valle del conflitto, il Segretario al tesoro americano, Janet Yellen, ha dichiarato che gli Stati Uniti adotteranno passi per rendere effettivo il limite al prezzo d’acquisto di petrolio russo, 60 dollari al barile, che il suo Paese e gli alleati hanno fissato. Il provvedimento, evidentemente, finora non era stato attuato o, se sì, in maniera molto blanda. Mentre i conflitti geopolitici si inaspriscono l’alleato americano può contare sulla produzione maggiore del mondo mentre l’Europa no.

In un mondo diventato molto più complicato la crisi energetica europea è strutturale; può avere fasi di remissione e fase di esplosione, ma il risultato per la sua industria e per gli investimenti non cambia. Nessuno si può fidare o fare scommesse a lungo termine sulla normalizzazione dei mercati energetici europei in questo scenario geopolitico. Con grande lungimiranza, nel frattempo, la Germania ha chiuso le ultime centrali nucleari.

La crisi c’è per tutti, ma l’Europa rimane l’attore più fragile perché non ha risposte interne e perché ha catene di fornitura volatili. Gli Stati Uniti sono infinitamente più solidi dell’Europa e questo fa ogni differenza per le scelte di investimento delle imprese e per lo sviluppo della base industriale. Gli Stati Uniti importano meno di due milioni di barili al giorno, mentre l’Europa ne importa più di 14 milioni. Gli altri competitor dell’Europa, nel sud-est asiatico, sono in una situazione molto migliore di quella dell’Unione.

L’Europa ha ogni interesse a disinnescare i conflitti e a riaprire rapporti economici e diplomatici. Nel frattempo dovrebbe lavorare per aumentare la propria dipendenza sia dotandosi di una capacità militare autonoma, sia investendo in nucleare.

L’aumento dei prezzi del gas e del petrolio per ora riflettono un premio politico e una diversa percezione del rischio. Questo basta e avanza per far tornare in Europa lo spettro della crisi energetica. Come minimo ci si aspetterebbe ogni sforzo diplomatico possibile e immaginabile per far rientrare la crisi data la posta in palio.

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Tags: Ursula Von Der LeyenJanet Yellen

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