L'Ue rischia molto dopo la lettera sui dazi di Trump. Cosa voglia il Presidente Usa è ben chiaro da quasi dieci anni
In Italia, e non solo, è prevedibile una nuova ondata di angoscia scandalizzata di fronte all’ennesima “dichiarazione di guerra” di Donald Trump all’Ue.
La preoccupazione è del tutto giustificata: i problemi diretti e indiretti portati da dazi al 30% sull’economia europea – e non solo all’economia – sarebbero estremamente seri. Dopo la recessione da Covid e l’inflazione da crisi geopolitica, un conflitto commerciale fra le due sponde dell’Atlantico vede fin d’ora l’Europa come vittima designata. Ciò al contrario di quanto avvenne nel secolo scorso, quando il Vecchio continente prima si suicidò in una lunga guerra dapprima europea poi mondiale e finì per essere liberato e rilanciato dagli Usa, dal 1945 e quindi dopo il 1989.
Oggi l’Ue rischia nuovamente di suicidarsi, ma sarebbe – ancora una volta – sua responsabilità se non guardasse con realismo le sfide geopolitiche odierne, per quanto dure. Per quanto esse si offrano come pretesti quasi irresistibili per pure reazioni scandalizzate.
Trump sarà erratico e spietato, spaventevole nei modi e minaccioso nelle cose: sarà “inaccettabile” – per gli europei – al contrario di quanto piacevano invece Bill Clinton, Barack Obama e Joe Biden. Ma resta il Presidente eletto dalla più grande e antica liberaldemocrazia del mondo.
E poi, non più tardi di tre anni fa, era inaccettabile anche l’attacco all’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin. Ma le vesti stracciate, la solidarietà mediatica (nel nome dell’ideologia occidentale) e la resistenza moralistica (o a colpi di sanzioni autolesionistiche) non hanno salvato l’Ucraina dalla semi-distruzione.
Fra Mosca e Kiev – con l’Europa al tavolo – c’era un nodo irrisolto dal 2014, anzi dal 1991: era l’avanzata della Ue/Nato fino ai confini russi, il destino dei territori etnicamente russi nell’Ucraina orientale e l’accesso della flotta russa nel Mar Nero e quindi nel Mediterraneo. Nella seconda metà del 2025 quei nodi sono ancora irrisolti. Li hanno lasciati marcire principalmente i presidenti Usa “politicamente corretti” di fede dem.
I nodi che Trump considera irrisolti fra la sua America e l’Ue sono due: il contributo dei Paesi europei al bilancio Nato e la libertà d’accesso di Big Tech al mercato Ue nei diversi segmenti di un’economia sempre più digitalizzata. Sono nodi che Trump considera tali fin dall’autunno 2016, dall’inizio del suo primo mandato. Lo ha ripetuto in tutte le sedi, in tutti i modi, in tutti i tweet, in tutti i G7.
Fino al 12 luglio 2015 l’Ue non li ha mai voluti affrontare. Dopo Maastricht la sua tecnocrazia buro-giudiziaria ha solo sparato condanne scenografiche e maxi-multe ai giganti digitali d’Oltre Atlantico; mentre anche all’interno dell’Unione è ripartita da decenni una guerra endemica a colpi di europeismo ideologico spacciato per “civiltà” e di regole economico-finanziarie. Ora restano due settimane per non scivolare su una nuova china suicida, stavolta forse senza ritorno.
La fiducia – non “di ordinario europeismo” – riaccordata due giorni fa dall’europarlamento alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen – è parsa un primo accenno di realismo ritrovato. L’importante è che duri fino all’1 agosto e sortisca effetti contrari a quelli dell’agosto 1914 o di quello 1939.
Mandare a quel paese l'”inaccettabile” Trump può essere facile sul piano mediatico e rassicurante per alcune élites (perfino per alcuni capi di Stato e di governo). Ma può rivelarsi più pericoloso di quando la Francia e la Gran Bretagna si mostrarono volenterose di compiacere la Germania hitleriana: perché anche allora l’Europa si mostrò divisa e miope.
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