In Italia sale ancora l'occupazione, ma meno del Pil. E sembra esserci qualche problema per la classe di età 35-49 anni

Torna a crescere l’occupazione a gennaio 2025, afferma Istat in occasione della diffusione dei dati provvisori sulle forze di lavoro. La crescita rispetto a dicembre 2024 è di 145 mila unità, lo 0,6% in più. Di conseguenza il tasso di occupazione passa al 62,8%.

I disoccupati calano di 9 mila unità, il tasso di disoccupazione scende al 6,3%. Da dove vengono tutti gli occupati in più? Naturalmente dal gruppo degli inattivi (-146.000 unità), che probabilmente così inattivi non erano.



L’occupazione aumenta sia per gli uomini che per le donne, sia per i dipendenti che per gli autonomi, ma se guardiamo alle classi di età scopriamo che nella fascia fra 35 e 49 anni il numero di occupati diminuisce mentre aumentano i disoccupati.

Se si guarda alle differenze rispetto a gennaio 2024, il numero di occupati è cresciuto del 2,2% (+513 mila unità), in aumento sia gli uomini che le donne, mentre per i 15-24 enni e i 35-49 enni si osserva una diminuzione. Il tasso di occupazione, in un anno, sale di un punto percentuale.



Rispetto a gennaio 2024, diminuisce sia il numero di persone in cerca di lavoro (-10,7%, pari a -194 mila unità), sia quello degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-1,3%, pari a -158 mila).

A ben vedere la classe di età che presenta i dati peggiori è quella fra i 35 e i 49 anni. Anche se si tiene conto del fattore demografico, come fa Istat in un’apposita analisi, fra i 35-49enni cala l’occupazione, aumenta l’inattività ed è stabile la disoccupazione.

I dati non riportano spunti motivazionali, ma possiamo immaginare che in questa classe di età sia sotto pressione da più punti di vista. Rispetto ai più giovani hanno competenze meno aggiornate e costi più alti, rispetto ai senior hanno meno esperienza e maggiori carichi di famiglia. Insomma, corriamo il rischio di doverci occupare della difficile transizione e dell’adeguamento tecnologico e organizzativo di una classe di età che in passato rappresentava la fascia della stabilità, della crescita professionale e degli incrementi reddituali costanti.



Questi problemi di transizione, assieme alle altre sfide che attendono il mercato del lavoro nei prossimi anni, fra adeguamento delle competenze e potenziali tensioni internazionali, dovrebbero servire da spunto per ripensare a come vengono ideate, realizzate e valutate le politiche attive del lavoro, che chiedono più personalizzazione e meno standardizzazione e Lep (Livelli essenziali delle prestazioni).

Il quadro complessivo dell’economia aggiunge motivi di riflessione: la pressione fiscale è aumentata dell’1% e oltre, sottolinea Istat, con una domanda interna che cresce dello 0,4% e un Pil che cresce dello 0,7% come nell’anno precedente, il 2023. Insomma, dopo la ripresa post-pandemia, è tornata l’Italia dei decimali, con commenti entusiastici per crescite da prefisso telefonico. Se l’occupazione cresce più del Pil, gli indicatori di produttività scendono: si riesce a creare occupazione solo in settori a basso margine e che alla fine distribuiscono bassi salari.

Eurostat ha di recente pubblicato i dati sui salari in termini di potere d’acquisto, posizionando l’Italia sotto la Spagna e poco sopra Polonia e Malta, al 15% sotto la media europea. Non sorprende quindi che gli italiani siano ormai sempre più alla ricerca di un lavoro (o almeno di un reddito complementare) per cercare di far quadrare i conti a fine mese.

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