Dai dati dell'ultimo Bollettino Cnel sul mercato del lavoro emerge la richiesta di nuove politiche attive mirate ed efficaci
Cnel in collaborazione con Istat ha pubblicato il secondo numero del bollettino dedicato al mercato del lavoro. I dati pubblicati si riferiscono al primo trimestre dell’anno in corso.
Pur con segnali di rallentamento, il tasso di occupazione continua a salire e raggiunge il 62,5% con un aumento dello 0,9% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Analogamente la disoccupazione scende e sono 217mila persone in meno di 12 mesi prima a cercare lavoro.
Guardando la composizione del tasso di occupazione emergono dati che possono essere utili per politiche del lavoro mirate. Il tasso di occupazione maschile è al 71,2%, mentre quello femminile è al 53,7%. La componente straniera (Ue ed extra Ue) ha però comportamenti diversi. Il tasso di occupazione dei maschi stranieri è di 5,9 punti superiore al tasso di occupazione dei maschi italiani (76,5% contro 70,6%). Nel caso femminile abbiamo invece una prevalenza italiana di 5,4 punti (54,3% contro 48,9%).
La situazione del mercato del lavoro continua a vedere anche una maggiore stabilità contrattuale. Rispetto al primo trimestre 2024 continua la crescita dei contratti a tempo indeterminato e calano quelli a termine. Rimane pressoché invariato il numero dei lavoratori indipendenti per un leggero calo della componente maschile e con una crescita quasi analoga della componente femminile.
L’interesse per le elaborazioni del bollettino Cnel non sta nei dati riassuntivi del mercato del lavoro. Sarebbe una ripetizione di quanto già viene fatto fatto da Istat e Ministero. La particolarità sta nell’analisi dei dati di flusso rispetto ai dati di stock che emergono dalle fonti tradizionali.
Guardando i flussi fra i grandi aggregati che compongono i vari target che contribuiscono a formare l’insieme del mercato del lavoro possiamo cercare di comprendere le tendenze di fondo. Si cerca così di seguire i comportamenti delle persone per anticipare i fenomeni che avranno poi un impatto positivo o negativo sull’incontro finale di domanda e offerta di lavoro.
Il tema principale che vive il nostro mercato del lavoro è il mismatching crescente, che ha una componente qualitativa nelle differenze fra competenze richieste dal sistema produttivo e formazione dei giovani che arrivano al mercato del lavoro. Ha anche, ed è quanto qui ha più rilevanza, una forte componente quantitativa.
L’aumento delle classi di età più avanzate nell’ambito degli occupati è dovuto al prolungarsi della vita lavorativa e anche al peso minore che le classi di età in entrata sul mercato del lavoro hanno rispetto alle coorti che le hanno precedute.
Per rispondere al calo demografico e all’impatto che inizia ad avere sul mercato del lavoro, destinato a crescere nei prossimi anni, vi sono due strade. L’immigrazione guidata e coordinata di lavoratori adatti a coprire le professionalità richieste dal nostro sistema produttivo. Intanto si deve però agire sul tasso di occupazione nazionale. Ciò è possibile perché, nonostante l’aumento ottenuto negli ultimi anni, siamo almeno 8 punti sotto all’obiettivo datoci in Europa e più ancora rispetto ai Paesi europei con cui dobbiamo misurarci economicamente.
Per leggere nei dati che si sta producendo una pressione favorevole all’obiettivo dichiarato dovremmo vedere flussi di passaggi dall’inattività verso l’attivazione e poi la decisione di essere attivi sul mercato del lavoro, quindi una diminuzione degli inattivi, un aumento di quanti sono disposti a lavorare, un aumento della disoccupazione e un aumento degli occupati.
I flussi messi in rilievo dall’analisi Cnel ci dicono invece che il nostro mercato del lavoro tende a fermarsi. Infatti, abbiamo il formarsi di un nuovo dualismo. Chi è dentro tende a diventare sempre più stabile. Non solo crescono i contratti a tempo indeterminato. ma anche il tasso di permanenza degli occupati. Anche i lavoratori con contratti temporanei vedono aumentare le probabilità di rimanere occupati e, nel caso maschile, cresce la probabilità di passare a contratto indeterminato.
Sono però pochi sono i flussi di entrata nel mercato del lavoro, sia fra i disoccupati che fra gli occupati, mentre cresce il flusso di chi esce dal mercato e torna fra gli inattivi. Questo dato emerge chiaramente dall’analisi dei flussi dei disoccupati. Dopo 12 mesi, solo il 19,2% degli uomini e il 16,1% delle donne hanno trovato lavoro. Rispettivamente il 36,3% ed il 28,9% compaiono ancora in cerca di occupazione, mentre il 44,5% degli uomini e il 55% delle donne danno forfait, abbandonano la ricerca di lavoro e tornano fra gli inattivi.
Stare inattivi serve o piace perché il tasso di permanenza è quasi al 90% per le donne e all’85,4 per gli uomini. I movimenti in uscita sono per il 5,5% delle donne verso la disoccupazione e per il 4,9% verso l’occupazione. Un po’ meglio va il movimento complessivo per gli uomini che all’8,4% si fermano alla disoccupazione, mentre il 6,2% rientra fra gli occupati.
I dati relativi ai flussi del mercato del lavoro sono essenziali per guidare le politiche attive del lavoro. Se per recuperare il mismatching qualitativo della forza lavoro attraverso corsi scolastici si rischia di dover aspettare la generazione successiva, gli interventi su quanti sono già in età lavorativa e hanno già acquisito una base formativa possono essere più veloci e incisivi.
La staticità dei flussi fra inattivi e mercato del lavoro denuncia ancora una volta che quanto si è messo in moto come servizi per l’occupazione è ancora poco e spesso non incide sulle distorsioni del mercato del lavoro del nostro paese.
Abbiamo un programma GOL che non incide perché rigido e rivolto in modo sbagliato solo a chi è già attivo. Ci ancora risorse del Pnrr dedicate ai servizi al lavoro utilizzabili. Il Governo è immobile, ma le forze sociali, imprese e lavoratori, dovrebbero sollecitare la spesa rivolgendola ad aumentare il tasso di attività. Dare dignità e tutela al lavoro passa per servizi al lavoro che funzionino nel favorire le transizioni, non la staticità.
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