Ad aprile il tasso di disoccupazione è sceso al 5,9%. Cresce, però, il numero degli inattivi. Il che non è positivo

I dati Istat di aprile 2025 confermano una dinamica del mercato del lavoro consolidata: l’occupazione segna il passo nel breve termine ma mantiene slancio positivo su base annua, mentre la disoccupazione continua la sua discesa verso livelli bassi.

I dati di aprile fotografano una stabilità apparente, con i principali movimenti sotto traccia: il numero di occupati si attesta a 24,2 milioni, sostanzialmente invariato rispetto a marzo. Cambia la composizione dell’occupazione: crescono gli autonomi (+1,0%) e i dipendenti a termine (+0,8%), mentre diminuiscono i dipendenti permanenti (-0,5%).



È un segnale che merita attenzione: dopo mesi di crescita del lavoro stabile, una flessione potrebbe indicare maggiore cautela delle imprese nelle assunzioni a tempo indeterminato. Non un campanello d’allarme, ma un elemento da monitorare.

La disoccupazione scende ai minimi, ma il merito va alla inattività più che alla crescita. Il tasso di disoccupazione scende al 5,9%, in calo di 0,2 punti percentuali e ormai prossimo alla soglia psicologica del 5%. Ancor più significativo il calo della disoccupazione giovanile al 19,2% (-1,2 punti).



Tuttavia, la lettura va calibrata: il calo dei disoccupati (-48mila unità) si accompagna a una crescita degli inattivi (+39mila). In sostanza, una parte di chi non trova lavoro sembra ritirarsi dal mercato piuttosto che continuare a cercarlo. Il tasso di inattività sale infatti al 33,2%, suggerendo che il miglioramento degli indicatori ufficiali potrebbe essere in parte illusorio.

Su base tendenziale, il quadro resta positivo: +282mila occupati (+1,2%) e -209mila disoccupati (-12,2%) rispetto ad aprile 2024. La crescita dell’occupazione è trainata dai dipendenti permanenti (+345mila) e dagli autonomi (+110mila), mentre si riducono i rapporti a termine (-173mila).



I dati confermano divari strutturali che faticano a ridursi. Il tasso di occupazione maschile (71,7%) rimane distante da quello femminile (53,7%), nonostante entrambi mostrino tendenze positive. Preoccupa inoltre la flessione dell’occupazione tra i 35-49enni (-91mila unità su base annua), fascia d’età cruciale per la produttività del sistema.

In conclusione il mercato del lavoro italiano attraversa una fase di transizione. La pressione demografica si fa sentire, le dinamiche occupazionali mostrano segnali di rallentamento congiunturale, ma la tendenza di fondo è ancora solida.

Il vero test sarà nei prossimi mesi: riuscirà l’economia italiana a mantenere il ritmo di creazione di posti di lavoro, o dovremo accontentarci di una stabilizzazione su livelli storicamente elevati, ma distanti dalle medie dei Paesi a noi vicini? Riusciranno le politiche pubbliche a ridurre quel terzo di inattività che sembra inattaccabile?

Dobbiamo riconoscere che molti degli inattivi sono tali perché i carichi di famiglia li tengono lontano dal mercato e che stipendi bassi non rendono conveniente affidare la cura ad altri. Dobbiamo anche riconoscere che è venuta meno la fiducia nella possibilità di trovare un senso a quello che si fa lavorando, che vada oltre alla necessaria raccolta di risorse per la sopravvivenza.

Le risposte alle domande aperte dipenderanno dalle scelte di politica economica e dalla capacità del sistema produttivo, ma soprattutto dal ritorno sulla scena della domanda di senso che tutti di pongono, abbandonando le retoriche ormai vuote che caratterizzano molte prese di posizione.

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