I nuovi ‘Dubia’ dei 5 cardinali prima del Sinodo/ Quali sono le domande e le risposte date da Papa Francesco

- Niccolò Magnani

I 5 Dubia dei cinque cardinali inviati a Papa Francesco prima del Sinodo: le risposte di Bergoglio alle domande. Perdono, Divina Rivelazione, coppie gay, donne prete e dimensioni Chiesa

Papa Francesco, Sinodo Papa Francesco nell'Aula del Sinodo con i Cardinali (LaPresse, 2023)

NUOVI 5 ‘DUBIA’ (PIÙ 5) DI ALCUNI CARDINALI A PAPA FRANCESCO PRIMA DEL SINODO: LA REPLICA DEL VATICANO

A pochi giorni dall’inizio del Sinodo della Chiesa Cattolica, tornano di stretta attualità la questione dei ‘Dubia’ sollevati da alcuni cardinali in merito a posizioni e documenti resi da Papa Francesco proprio in merito all’importante congresso in Vaticano con vescovi e cardinali da ogni parte del mondo. Dalle unioni gay al tema delle “donne prete”, dai timori teologici sulla Divina Rivelazione e il perdono: la pubblicazione dei 5 ‘Dubia’ iniziali hanno visto la risposta punto su punto di Papa Francesco, giunta già in estate ma resa publica solo oggi.

Il “responsum” del Santo Padre ha avuto la autorizzazione di Francesco ad essere reso noto il 25 settembre, anche se in realtà è stato inviato l’11 luglio dopo l’invio dei ‘Dubia’ appena 24 ore prima, il 10 luglio (come risulta dalla nota del prefetto del Dicastero della Dottrina della fede). Come scrive “Il Giornale” che insieme ad altri organi d’informazione ha pubblicato per la prima volta oggi 2 ottobre (alla vigilia della Messa per il Sinodo), dopo i primi 5 ‘Dubia’, la risposta del Papa è stata giudicata «non soddisfacente a livello giuridico, reinviati il 21 agosto – con una lettera ai fedeli laici che spiegava i motivi dell’iniziativa ha suscitato la reazione della Santa Sede poche ore dopo». Come informa il portale “AciStampa”, la risposta del Papa non avrebbe soddisfatto appieno i timori dei 5 cardinali, tanto che i porporati hanno inviato una seconda serie di domande al Papa.

COSA SONO I ‘DUBIA’ NELL’AMBITO DELLA CHIESA E CHI GLI HA SCRITTI

Di ‘Dubia’ non è certo la prima volta che si sente parlare all’interno della Chiesa Cattolica: in primo luogo, un ‘dubium’, dubbio, viene posto da membri di un dicastero o di una commissione al Papa «su questioni dottrinali, liturgiche, pastorali e magisteriali». I ‘Dubia’ possono essere anche esposti da un gruppo di fedeli o un singolo fede, presentandolo al Dicastero competente o anche direttamente al Santo Padre.

Nel 2016 furono 4 i cardinali (Walter Brandmüller, Raymond L. Burke, Carlo Caffarra, Joachim Meisner) a porre alcuni ‘Dubia’ in merito all’Esortazione Apostolica “Amoris Laetitia” in merito a tematiche che tornano anche nelle nuove trattazioni emerse in questi mesi. Nei 5 ‘Dubia’ del 2023 sono invece 5 i cardinali a sottoscriverli: si tratta ancora dei cardinali Walter Brandmüller, Raymond Leo Burke, insieme a Juan Sandoval Íñiguez, Robert Sarah e Joseph Zen Ze-kiun. La lettera del nuovo prefetto della Dottrina della Fede Víctor Manuel Fernández è seguita dalle domande del 10 luglio di Brandmüller, Burke, Sandoval Íñiguez, Sarah e Zen e da otto pagine con le cinque risposte del Papa inviate l’11 luglio, per un «migliore chiarimento delle questioni che (…) vengono sottoposte».

DOMANDE & RISPOSTE SUI ‘DUBIA’ : ECCO COSA HA SCRITTO PAPA FRANCESCO

Nella lettera in data 2 ottobre i 5 cardinali hanno spiegato i motivi di questi ‘Dubia’ che hanno poi portato alle risposte di Papa Francesco: «Considerate varie dichiarazioni di alcuni alti Prelati inerenti alla celebrazione del prossimo Sinodo dei Vescovi, palesemente contrarie alla costante dottrina e disciplina della Chiesa, e che hanno generato e continuano a generare tra i fedeli e in altre persone di buona volontà grande confusione e la caduta in errore, abbiamo manifestato la nostra profondissima preoccupazione al Romano Pontefice”». E lo fanno ricorrendo «alla provata prassi della sottomissione di dubia [domande] ad un superiore per fornirgli l’occasione di chiarire, attraverso i suoi responsa [risposte], la dottrina e la disciplina della Chiesa, con la nostra lettera del 10 luglio 2023 abbiamo sottomesso a Papa Francesco cinque dubia, di cui è allegata una copia. Papa Francesco ci ha risposto con lettera dell’11 luglio 2023».

Ecco invece il testo di premessa che Papa Francesco ha inviato ai cinque cardinali, sottolineando l’importanza storica di questo momento: «Cari fratelli, benché non sempre mi sembri prudente rispondere alle domande rivoltemi direttamente, e sarebbe impossibile rispondere a tutte, in questo caso ho ritenuto opportuno farlo data la vicinanza del Sinodo». Qui di seguito pubblichiamo, riferendoci direttamente al documento ufficiale in spagnolo messo a disposizione dal Dicastero per la Dottrina della Fede (con traduzione in italiano di ‘Vatican News’) le 5 domande e le relative risposte date da Papa Francesco ai ‘Dubia’:

Domanda 1: la Divina Rivelazione

Dubium circa l’affermazione che si debba reinterpretare la Divina Rivelazione in base ai cambiamenti culturali e antropologici in voga

Domanda: «Dopo le affermazioni di alcuni vescovi, che non sono state né corrette né ritrattate, si chiede se nella Chiesa la Divina Rivelazione debba essere reinterpretata secondo i cambiamenti culturali del nostro tempo e secondo la nuova visione antropologica che questi cambiamenti promuovono; oppure se la Divina Rivelazione sia vincolante per sempre, immutabile e quindi da non contraddire, secondo il dettato del Concilio Vaticano II, che a Dio che rivela è dovuta “l’obbedienza della fede”(Dei Verbum 5); che quanto è rivelato per la salvezza di tutti deve rimanere “per sempre integro” e vivo, e venire “trasmesso a tutte le generazioni” (7) e che il progresso della comprensione non implica alcun mutamento della verità delle cose e delle parole, perché la fede è stata “trasmessa una volta per sempre” (8), e il Magistero non è superiore alla parola di Dio, ma insegna solo ciò che è stato trasmesso (10)».

Papa Francesco: «a) La risposta dipende dal significato che attribuite alla parola “reinterpretare”. Se è intesa come “interpretare meglio”, l’espressione è valida. In questo senso, il Concilio Vaticano II affermò che è necessario che, con il lavoro degli esegeti – e aggiungo, dei teologi – “maturi il giudizio della Chiesa” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum, 12).
b) Pertanto, se è vero che la divina Rivelazione è immutabile e sempre vincolante, la Chiesa deve essere umile e riconoscere di non esaurire mai la sua insondabile ricchezza e di avere bisogno di crescere nella sua comprensione.
c) Di conseguenza, cresce anche nella comprensione di ciò che essa stessa ha affermato nel suo Magistero.
d) I cambiamenti culturali e le nuove sfide della storia non modificano la Rivelazione, ma possono stimolarci a esprimere meglio alcuni aspetti della sua traboccante ricchezza che offre sempre di più.
e) È inevitabile che ciò possa portare a una migliore espressione di alcune affermazioni passate del Magistero, ed è infatti successo così lungo la storia.
f) D’altra parte, è vero che il Magistero non è superiore alla Parola di Dio, ma è anche vero che sia i testi delle Scritture che le testimonianze della Tradizione necessitano di un’interpretazione che permetta di distinguere la loro sostanza perenne dai condizionamenti culturali. Questo è evidente, ad esempio, nei testi biblici (come Esodo 21, 20-21) e in alcuni interventi magisteriali che tolleravano la schiavitù (Cfr. Niccolò V, Bolla Dum Diversas, 1452). Non è un argomento secondario dato il suo intimo legame con la verità perenne della dignità inalienabile della persona umana. Questi testi hanno bisogno di un’interpretazione. Lo stesso vale per alcune considerazioni del Nuovo Testamento sulle donne (1 Corinzi 11, 3-10; 1 Timoteo 2, 11-14) e per altri testi delle Scritture e testimonianze della Tradizione che oggi non possono essere ripetuti così come sono.
g) È importante sottolineare che ciò che non può cambiare è ciò che è stato rivelato “per la salvezza di tutti” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum, 7). Perciò la Chiesa deve discernere costantemente ciò che è essenziale per la salvezza e ciò che è secondario o è meno direttamente connesso a questo obiettivo. Mi interessa ricordare ciò che San Tommaso d’Aquino affermava: “quanto più si scende ai particolari, tanto più aumenta l’indeterminatezza” (Summa Theologiae 1-1 1, q. 94, art. 4).
h) Infine, una sola formulazione di una verità non potrà mai essere adeguatamente compresa se viene presentata solitaria, isolata dal ricco e armonioso contesto dell’intera Rivelazione. La “gerarchia delle verità” implica anche collocare ciascuna di esse in adeguata connessione con le verità più centrali e con l’insieme dell’insegnamento della Chiesa. Ciò può infine portare a diversi modi di esporre la stessa dottrina, anche se “a quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature, ciò può sembrare un’imperfetta dispersione. Ma la realtà è che tale varietà aiuta a manifestare e a sviluppare meglio i diversi aspetti dell’inesauribile ricchezza del Vangelo (Evangelii gaudium, 40). Ogni corrente teologica ha i suoi rischi, ma anche le sue opportunità».

Domanda 2: Benedizioni unioni omosessuali

Dubium circa l’affermazione che la diffusa pratica della benedizione delle unioni con persone dello stesso sesso, concorderebbe con la Rivelazione e il Magistero

Domanda: «Secondo la Divina Rivelazione, attestata nella Sacra Scrittura, che la Chiesa “per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone” (Dei Verbum 10): “In principio” Dio creò l’uomo a sua immagine, maschio e femmina li creò e li benedisse, perché fossero fecondi (cfr Gen l, 27-28), per cui l’Apostolo Paolo insegna che negare la differenza sessuale è la conseguenza della negazione del Creatore (Rom l, 24-32). Si chiede: può la Chiesa derogare a questo “principio”, considerandolo, in contrasto con quanto insegnato da Veritatis splendor 103, come un semplice ideale, e accettando come “bene possibile” situazioni oggettivamente peccaminose, come le unioni con persone dello stesso sesso, senza venir meno alla dottrina rivelata?».

Papa Francesco: «a) La Chiesa ha una concezione molto chiara del matrimonio: un’unione esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, naturalmente aperta a generare figli. Solo a questa unione si può chiamare “matrimonio”. Altre forme di unione lo realizzano solo “in modo parziale e analogico” (Amoris laetitia 292), per cui non possono essere chiamate strettamente “matrimonio”.
b) Non è solo una questione di nomi, ma la realtà che chiamiamo matrimonio ha una costituzione essenziale unica che richiede un nome esclusivo, non applicabile ad altre realtà. Senza dubbio è molto di più di un mero “ideale”.
c) Per questa ragione, la Chiesa evita qualsiasi tipo di rito o sacramentale che possa contraddire questa convinzione e far intendere che si riconosca come matrimonio qualcosa che non lo è.
d) Tuttavia, nel rapporto con le persone, non si deve perdere la carità pastorale, che deve permeare tutte le nostre decisioni e atteggiamenti. La difesa della verità oggettiva non è l’unica espressione di questa carità, che è anche fatta di gentilezza, pazienza, comprensione, tenerezza e incoraggiamento. Pertanto, non possiamo essere giudici che solo negano, respingono, escludono.
e) Pertanto, la prudenza pastorale deve discernere adeguatamente se ci sono forme di benedizione, richieste da una o più persone, che non trasmettano un concetto errato del matrimonio. Perché quando si chiede una benedizione, si sta esprimendo una richiesta di aiuto a Dio, una supplica per poter vivere meglio, una fiducia in un Padre che può aiutarci a vivere meglio.
f) D’altra parte, sebbene ci siano situazioni che dal punto di vista oggettivo non sono moralmente accettabili, la stessa carità pastorale ci impone di non trattare semplicemente come “peccatori” altre persone la cui colpa o responsabilità può essere attenuata da vari fattori che influenzano l’imputabilità soggettiva (Cfr. san Giovanni Paolo II, Reconciliatio et Paenitentia, 17).
g) Le decisioni che, in determinate circostanze, possono far parte della prudenza pastorale, non devono necessariamente diventare una norma. Cioè, non è opportuno che una Diocesi, una Conferenza Episcopale o qualsiasi altra struttura ecclesiale abiliti costantemente e ufficialmente procedure o riti per ogni tipo di questione, poiché tutto “ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma”, perché questo “darebbe luogo a una casuistica insopportabile” (Amoris laetitia 304). Il Diritto Canonico non deve né può coprire tutto, e nemmeno le Conferenze Episcopali con i loro documenti e protocolli variati dovrebbero pretenderlo, poiché la vita della Chiesa scorre attraverso molti canali oltre a quelli normativi».

Domanda 3: dimensione costituiva della Chiesa

Dubium circa l’affermazione che la sinodalità è “dimensione costitutiva della Chiesa” (Cost.Ap. Episcopalis Communio 6), sì che la Chiesa sarebbe per sua natura sinodale.

Domanda: «Dato che il Sinodo dei vescovi non rappresenta il collegio episcopale, ma è un mero organo consultivo del Papa, in quanto i vescovi, come testimoni della fede, non possono delegare la loro confessione della verità, si chiede se la sinodalità può essere criterio regolativo supremo del governo permanente della Chiesa senza stravolgere il suo assetto costitutivo voluto dal suo Fondatore, per cui la suprema e piena autorità della Chiesa viene esercitata, sia dal Papa in forza del suo ufficio, sia dal collegio dei vescovi insieme col suo capo il Romano Pontefice (Lumen gentium 22)».

Papa Francesco: «a) Sebbene riconosciate che l’autorità suprema e piena della Chiesa sia esercitata sia dal Papa a motivo del suo ufficio, sia dal collegio dei vescovi insieme al loro Capo, il Romano Pontefice (Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 22), con queste domande stesse manifestate il vostro bisogno di partecipare, di esprimere liberamente il vostro parere e di collaborare, chiedendo così una forma di “sinodalità” nell’esercizio del mio ministero.
b) La Chiesa è un “mistero di comunione missionaria”, ma questa comunione non è solo affettiva o eterea, bensì implica necessariamente una partecipazione reale: non solo la gerarchia, ma tutto il Popolo di Dio in modi diversi e a diversi livelli può far sentire la propria voce e sentirsi parte del cammino della Chiesa. In questo senso possiamo dire che la sinodalità, come stile e dinamismo, è una dimensione essenziale della vita della Chiesa. Su questo punto ha detto cose molto belle san Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte.
c) Altra cosa è sacralizzare o imporre una determinata metodologia sinodale che piace a un gruppo, trasformarla in norma e percorso obbligatorio per tutti, perché ciò porterebbe solo a “congelare” il cammino sinodale ignorando le diverse caratteristiche delle diverse Chiese particolari e la variegata ricchezza della Chiesa universale».

Domanda 4: sacerdozio femminile

Dubium circa il sostegno di pastori e teologi alla teoria che “la teologia della Chiesa è cambiata” e quindi che l’ordinazione sacerdotale possa essere conferita alle donne.

Domanda: «In seguito alle affermazioni di alcuni prelati, che non sono state né corrette né ritrattate, secondo cui col Vaticano II sarebbe cambiata la teologia della Chiesa e il significato della Messa, si chiede se è ancora valido il dettato del Concilio Vaticano II, che “il sacerdozio comune dei fedeli e quello ministeriale differiscono essenzialmente e non solo di grado” (Lumen Gentium IO) e che i presbiteri in virtù del “sacro potere dell’ordine per offrire il sacrificio e perdonare i peccati” (Presbyterorum Ordinis 2), agiscono in nome e nella persona di Cristo mediatore, per mezzo del quale è reso perfetto il sacrificio spirituale dei fedeli? Si chiede, inoltre, se è ancora valido l’insegnamento della lettera apostolica di san Giovanni Paolo II Ordinatio Sacerdotalis, che insegna come verità da tenere in modo definitivo l’impossibilità di conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne, per cui questo insegnamento non è più soggetto a cambiamento né alla libera discussione dei pastori o dei teologi».

Papa Francesco: «a) “Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale differiscono essenzialmente” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 10). Non è opportuno sostenere una differenza di grado che implichi considerare il sacerdozio comune dei fedeli come qualcosa di “seconda categoria” o di minor valore (“un grado più basso”). Entrambe le forme di sacerdozio si illuminano e si sostengono reciprocamente.
b) Quando san Giovanni Paolo II insegnò che bisogna affermare “in modo definitivo” l’impossibilità di conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne, in nessun modo stava denigrando le donne e conferendo un potere supremo agli uomini. San Giovanni Paolo II affermò anche altre cose. Ad esempio, che quando parliamo della potestà sacerdotale “siamo nell’ambito della funzione, non della dignità e della santità”. (san Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 51). Sono parole che non abbiamo accolto a sufficienza. Affermò anche chiaramente che sebbene solo il sacerdote presieda l’Eucaristia, i compiti “non danno luogo alla superiorità di alcuni sugli altri” (san Giovanni Paolo II, Christifideles laici, nota 190; Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Inter Insigniores, VI). Affermò anche che se la funzione sacerdotale è “gerarchica”, non deve essere intesa come una forma di dominio, ma “è totalmente ordinata alla santità delle membra di Cristo” (san Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, 27). Se questo non viene compreso e non si traggono le conseguenze pratiche di queste distinzioni, sarà difficile accettare che il sacerdozio sia riservato solo agli uomini e non potremo riconoscere i diritti delle donne o la necessità che esse partecipino, in vari modi, alla guida della Chiesa.
c) D’altra parte, per essere rigorosi, riconosciamo che non è stata ancora sviluppata esaustivamente una dottrina chiara e autorevole sulla natura esatta di una “dichiarazione definitiva”. Non è una definizione dogmatica, eppure deve essere accettata da tutti. Nessuno può contraddirla pubblicamente e tuttavia può essere oggetto di studio, come nel caso della validità delle ordinazioni nella Comunione anglicana».

Domanda 5: il perdono

Dubium circa l’affermazione “il perdono è un diritto umano” e l’insistere del Santo Padre sul dovere di assolvere tutti e sempre, per cui il pentimento non sarebbe condizione necessaria per l’assoluzione sacramentale.

Domanda: «Si chiede se sia ancora vigente l’insegnamento del Concilio di Trento, secondo cui, per la validità della confessione sacramentale è necessaria la contrizione del penitente, che consiste nel detestare il peccato commesso con il proposito di non peccare più (Sessione XIV, Capitolo IV: DH 1676), cosicché il sacerdote deve rimandare l’assoluzione quando sia chiaro che questa condizione non è adempiuta».

Papa Francesco: «a) Il pentimento è necessario per la validità dell’assoluzione sacramentale e implica l’intenzione di non peccare. Ma qui non c’è matematica e devo ricordare ancora una volta che il confessionale non è una dogana. Non siamo padroni, ma umili amministratori dei Sacramenti che nutrono i fedeli, perché questi doni del Signore, più che reliquie da custodire, sono aiuti dello Spirito Santo per la vita delle persone.
b) Ci sono molti modi di esprimere il pentimento. Spesso, nelle persone che hanno l’autostima molto ferita, dichiararsi colpevoli è una tortura crudele, ma il solo atto di avvicinarsi alla confessione è un’espressione simbolica di pentimento e di ricerca dell’aiuto divino.
c) Voglio anche ricordare che “a volte ci costa molto dare spazio nella pastorale all’amore incondizionato di Dio” (Amoris laetitia 311), ma si deve imparare. Seguendo san Giovanni Paolo II, sostengo che non dobbiamo richiedere ai fedeli propositi di correzione troppo precisi e sicuri, che alla fine finiscono per essere astratti o addirittura narcisisti, ma anche la prevedibilità di una nuova caduta “non pregiudica l’autenticità del proposito” (san Giovanni Paolo II, Lettera al Card. William W. Baum e ai partecipanti al corso annuale della Penitenzieria Apostolica, 22 marzo 1996, 5).
d) Infine, deve essere chiaro che tutte le condizioni che di solito si pongono nella confessione generalmente non sono applicabili quando la persona si trova in una situazione di agonia o con le sue capacità mentali e psichiche molto limitate».

LE ULTERIORI DOMANDE INVIATE DAI CARDINALI DOPO I PRIMI 5 ‘DUBIA’

Ecco le ulteriori domande messe a disposizione da “AciStampa” scritte dai 5 cardinali dopo che le risposte di Papa Francesco ai ‘Dubia’ non avrebbero soddisfatto appieno le domande dei porporati:

1- «È possibile che la Chiesa insegni oggi dottrine contrarie a quelle che in precedenza ha insegnato in materia di fede e di morale, sia da parte del Papa ex cathedra, sia nelle definizioni di un Concilio ecumenico, sia nel magistero ordinario universale dei vescovi sparsi nel mondo (cfr. Lumen Gentium 25)?»;

2- «È possibile che in alcune circostanze un pastore possa benedire unioni tra persone omosessuali, lasciando così intendere che il comportamento omosessuale in quanto tale non sarebbe contrario alla legge di Dio e al cammino della persona verso Dio? Legato a questo dubium è necessario sollevarne un altro: continua ad essere valido l’insegnamento sostenuto dal magistero ordinario universale, secondo cui ogni atto sessuale fuori del matrimonio, e in particolare gli atti omosessuali, costituisce un peccato oggettivamente grave contro la legge di Dio, indipendentemente dalle circostanze in cui si realizzi e dall’intenzione con cui si compia?»;

3- «l Sinodo dei Vescovi che si terrà a Roma e che include solo una rappresentanza scelta di pastori e di fedeli, eserciterà, nelle questioni dottrinali o pastorali su cui sarà chiamato ad esprimersi, la Suprema Autorità della Chiesa, che spetta esclusivamente al Romano Pontefice e, una cum capite suo, al Collegio dei Vescovi (cf. can.336 C.I.C.)?».





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