Nei lavori del futuro ci sono anche dei vecchi mestieri che stanno vivendo una trasformazione importante
Parliamo sempre di “cambiamento che cambia” e che tutti noi dobbiamo “mantenerci impiegabili”, ma quali sono i lavori del futuro con i quali ci dovremo confrontare?
Ovviamente molti di questi lavori sono figli e saranno figli delle nuove tecnologie e dei nascenti nuovi servizi. Ma nei lavori del futuro ci sono anche dei vecchi lavori, che esistono da sempre, che nei secoli si sono trasformati e di cui avremo bisogno anche in futuro. Tra questi lavori ci sono i lavori del mondo sanitario, di cui avremo bisogno, non vi so dire se per sempre ma ancora per molti anni, centrali per la qualità della vita di ognuno qualunque sarà il futuro.
Nel mondo della sanità, un lavoro che sta vivendo un momento complesso, ma che allo stesso tempo sarà un lavoro de futuro è quello dell’infermiere, che è al centro di una trasformazione profonda.
Da un lato, i numeri ci dicono che è un mestiere in crisi: mancano professionisti, le iscrizioni ai corsi calano e tanti abbandonano il settore. Dall’altro, però, è una delle professioni che il futuro rilancia con più forza: la tecnologia entra nei percorsi di cura, cresce la richiesta di autonomia e relazione, si moltiplicano gli ambiti operativi.
Secondo l’Istat (2024), in Italia ci sono oltre 14 milioni di over 65 e nel 2050 saranno circa un terzo della popolazione. Anche in Europa l’invecchiamento è un fatto concreto: Eurostat segnala che già oggi l’età mediana ha superato i 44 anni, ed è in costante aumento.
Questi numeri rendono evidente la necessità di ripensare i modelli assistenziali, rendendoli più sostenibili e vicini alle persone. Tra le risposte più concrete c’è l’Assistenza domiciliare integrata (Adi): una serie di cure fornite a casa, in particolare a soggetti fragili o in dimissione ospedaliera.
L’Adi, oltre a migliorare la qualità della vita dei pazienti, perché restare nel proprio ambiente favorisce il benessere psicologico e l’aderenza terapeutica, consente anche di risparmiare per il sistema sanitario. Secondo il Rapporto ALTEMS (2023), una giornata in ospedale costa mediamente tra i 600 e gli 800 euro, mentre per l’assistenza domiciliare non esistono dati statistici certi, ma alcune analisi riportano indicativamente tra i 40 e i 70 euro per giornata.
Una differenza importante, che senza rischiare di trarre a facili conclusioni, ci fa pensare che ci sarebbero dei benefici dalla crescita della rete domiciliare, con la possibilità di ridurre i ricoveri e accompagnare le persone nella fase post-ospedaliera e ridurre costi.
Quello dell’infermiere è e resta, un lavoro vocazionale. Ma proprio per questo va riconosciuto, valorizzato, sostenuto. Servono cultura, informazione, orientamento. Dobbiamo ricostruire un immaginario che parli di valore, utilità, professionalità, e che faccia sentire chi sceglie questa strada parte di una missione vera, concreta, attuale.
Ne ho parlato con Angelo Caciolo, direttore del personale della Cooperativa OSA, realtà che da anni lavora nel campo della sanità e dell’assistenza, con circa 3.000 dipendenti distribuiti in diverse regioni italiane. OSA nasce negli anni ’80 e oggi è una delle maggiori cooperative italiane e specializzata in particolare proprio nell’Assistenza domiciliare.
Caciolo racconta: «Ogni anno entrano nel mercato circa 12.000 nuovi infermieri, ma ne escono quasi 20.000. E nei corsi di laurea infermieristica molti si iscrivono, ma poi abbandonano o cambiano». E aggiunge: «Chi lavora in Adi si trova in un contesto completamente diverso dal reparto: entra in casa del paziente, spesso da solo, con responsabilità cliniche e relazionali che richiedono autonomia, empatia, capacità di gestire situazioni nuove. Ma nessuno prepara davvero a questo ruolo».
Caciolo insiste su un punto chiave: «Il tema non è solo reclutare nuovi infermieri, ma creare le condizioni perché possano restare, crescere, trovare senso. In Adi quello che chiedono di più, soprattutto i giovani, è flessibilità. Vogliono orari sostenibili, la possibilità di conciliare vita e lavoro. Questo oggi può fare la differenza, anche più dello stipendio».
Guardare da vicino come cambia il lavoro dell’infermiere oggi ci aiuta a capire come sta crescendo in generale: più specializzazione, più autonomia, più relazione. Una professione che si trasforma e che chiede di essere riconosciuta per quello che è: centrale, concreta, attuale, anche nella dignità economica.
Il cambiamento del lavoro oggi è sempre più rapido, frammentato, discontinuo. È un cambiamento che cambia: non si ripete mai uguale, si adatta, evolve, si muove. E dentro questo movimento, è necessario capire meglio cosa sta succedendo guardando chi il lavoro lo costruisce ogni giorno, come le aziende e le cooperative sanitarie.
In questa logica, Caciolo sottolinea un altro punto spesso poco considerato: «L’Adi offre un livello di autonomia operativa molto alto, e per tanti giovani questo è un elemento di forte interesse. Chi lavora in ospedale è dentro una struttura organizzata, mentre chi fa assistenza domiciliare si muove in un contesto meno protetto più responsabilizzante, ma con una maggiore libertà di movimento».
E aggiunge: «Il rapporto con il paziente cambia profondamente: è a uno a uno, più diretto, più personale. L’infermiere entra nella casa, nel vissuto, nella quotidianità dell’assistito. Questo dà senso, umanità, valore al lavoro».
Un secondo passaggio possibile, quindi, è proprio quello di valorizzare questa dimensione più relazionale e autonoma del lavoro infermieristico, come elemento di attrattività per le nuove generazioni. Un ambito professionale che richiede formazione, certo, ma che restituisce anche identità, riconoscimento e centralità.
Quindi, abbiamo capito, uno dei lavori del futuro, tra tante contraddizioni è quello dell’infermiere e proveremo a vedere cosa il futuro ci racconterà.
Abbiamo iniziato dicendo che è il “cambiamento che cambia” e che dobbiamo “mantenersi impiegabili”, ma oggi basta chiedersi solo quali saranno i lavori del futuro? La vera domanda è: come cambierà e come sta cambiando il lavoro di tutti noi? Ne parleremo ancora…
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