La Cina si appresta a varare il suo prossimo piano quinquennale, con due incognite: Trump e l’India. Ma anche il problema del calo demografico
La Cina si appresta a varare il nuovo piano quinquennale puntando sulla tecnologia. Ma è disorientata dall’imprevedibilità di Trump: per chi è abituato a programmare l’economia (e non solo) su archi temporali molto lunghi, è difficile avere a che fare con chi cambia idea da un giorno all’altro.
È uno dei motivi, spiega Massimo Introvigne, sociologo fondatore del Cesnur e del sito Bitter Winter, per cui anche le trattative fra americani e cinesi su dazi, terre rare e chip, non arrivano al dunque. I piani cinesi di ottenere una leadership tecnologica e di trasferire il centro di Internet al Dragone si scontrano con il fatto che gli USA detengono ancora un primato in questo campo.
Ma Xi Jinping deve fare i conti anche con altri problemi, come il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione. Oltre alla crescita dell’India, che potrebbe scompaginare il nuovo ordine mondiale immaginato da Pechino e farlo diventare tripolare.
La Cina sta preparando il nuovo piano quinquennale. Quale sarà la sua priorità?
Pesa una grossa incognita: i cinesi non hanno capito – perché non lo ha capito nessuno – che cosa farà esattamente Trump, il quale comunque per un paio di anni sarà a capo dell’amministrazione USA. Non sanno se si devono attrezzare per un’economia tendenzialmente autarchica, per sopperire alle tecnologie che Trump non fornirà più, oppure se, come hanno fatto per vent’anni, potranno contare su una cooperazione con gli Stati Uniti, ai quali danno qualcosa per prendere dell’altro.
Che la Cina voglia puntare sul primato tecnologico è assodato?
È sicuramente un tema. Da quando è arrivato Xi Jinping, si parla del primato cinese nella tecnologia, a maggior ragione oggi con l’intelligenza artificiale, anche se già prima si diceva di spostare il centro di Internet dall’Occidente alla Cina. Naturalmente questi, in gran parte, sono solo slogan: sicuramente c’è una crescita tecnologica di Pechino nell’AI, però in questo momento per quanto riguarda l’alta tecnologia la Cina avrebbe difficoltà a funzionare senza la partnership con gli Stati Uniti.
Bisogna distinguere la propaganda dalla realtà, anche perché lo stesso modello cinese di stretto controllo statale della tecnologia alla fine fa male proprio al progresso tecnologico e rischia di diventare una zavorra.
Paradossalmente lo sviluppo dell’AI potrebbe indurre i cinesi a considerare l’attuazione di qualche meccanismo più democratico?
Questa è quella che i politologi americani chiamano l’ipotesi Kissinger, il quale ci aveva raccontato che l’ingresso nel WTO e la modernizzazione capitalistica avrebbe portato la democrazia in Cina. Poi si diceva che lo avrebbe fatto la televisione, quindi internet e ora l’intelligenza artificiale. Kissinger è morto sostenendo che un giorno avrebbe avuto ragione lui.
Si è parlato tanto dei dazi di Trump, ma ora anche Paesi come Messico, Turchia, Brasile, Indonesia e Sudafrica pensano di introdurli contro la Cina. Il surplus commerciale cinese è un problema per tanti Paesi?
L’esempio di Trump indubbiamente offre il destro agli Stati e ai loro leader che soffrono molto per la concorrenza cinese. Trump, però, ha le spalle più coperte: gli Stati Uniti in molti settori, non in tutti – vedi le terre rare – sono uno dei pochi Paesi in grado di cavarsela da soli, senza i cinesi. Altri non ce ne sono. D’altra parte, il tema del surplus commerciale della Cina riguarda l’economia mondiale ed è drammatico per settori come il tessile.
Nessuno allora, oltre agli USA, imporrà dazi ai cinesi?
Penso che gli altri Paesi mirino solo a mettersi al tavolo con la Cina. Gli stessi cinesi hanno raccontato molte volte ai loro vicini di essere consapevoli del problema della superproduzione, del disequilibrio degli scambi, soprattutto in alcuni settori, e che sono disponibili a introdurre dei correttivi. Però non ci sono oppure sono di poco conto, scarsi e tardivi. Questi annunci sui dazi probabilmente mirano anche a rilanciare un negoziato che porti i cinesi a introdurre una seria autoregolamentazione.
Al di là della retorica del nuovo ordine mondiale di Xi Jinping e Putin, anche all’interno dei BRICS qualche problema di relazione con i cinesi c’è?
I problemi con i cinesi li hanno tutti. Per quanto riguarda l’ordine multipolare il discorso diventa politico e militare, non solo economico o tecnologico. Al di là di tutte le retoriche, e anche di una propaganda che in Italia si fa sentire, gli analisti pensano che se mettiamo insieme tutti i fattori (l’economia, la tecnologia, gli aspetti militari) nonostante Trump abbia fatto dei danni, soprattutto a livello politico, di immagine e di pubbliche relazioni, esiste ancora un primato americano.
Le trattative tra USA e Cina, invece, come stanno andando?
L’aspetto che preoccupa di più i cinesi rimane l’imprevedibilità di Trump, che un giorno dice una cosa e quello dopo la nega. Potrebbe essere una strategia, nella quale, all’interno di un’apparente follia, si scoprirà un metodo. Se, tuttavia, l’imprevedibilità di Trump dipende dal suo carattere, questo darà molto fastidio ai cinesi, che sono abituati a fare piani sul lungo periodo.
Si andrà comunque verso un ordine mondiale fondato su due blocchi, uno cinese e l’altro americano?
La Cina ha avuto un grosso aiuto dalla guerra in Ucraina, che ha costretto la Russia a entrare nella sua sfera d’influenza e a diventare junior partner di un’alleanza a guida cinese. Poi, però, per arrivare a quello che vuole, a essere comunque una delle due sole grandi potenze, deve trovare degli equilibri, in particolare con l’India, che ha una tradizione millenaria di diffidenza nei confronti dei cinesi.
Qualcuno a Delhi dice che Trump passa, ma gli interessi strategici della Cina sono da mille anni in conflitto con quelli dell’India. Il rischio è che si arrivi a un mondo tripolare, perché la crescita dell’India ne farà una grande potenza, anche se il Paese non pensa ancora se stesso in questo modo.
Cosa gli manca?
Una struttura diplomatica e l’analisi politica. Però ha tutte le risorse demografiche, militari, economiche per essere una grande potenza. Deve solo imparare a pensarsi come tale. A quel punto non credo che intenderà fare come la Russia, cioè diventare un grosso satellite della Cina.
L’India è comunque in forte espansione, anche in Italia gli indiani sono sempre più presenti, com’è successo in precedenza per i cinesi. Avremo sempre più a che fare con loro?
L’espansione indiana è un’espansione che è anche guidata dalla demografia. La Cina a breve avrà un grosso problema demografico, di cui già i suoi esperti parlano, quello dell’invecchiamento della popolazione e del raggiungimento della piena età lavorativa delle generazioni del figlio unico.
Adesso questa politica è stata abolita, perché era disastrosa per l’economia, però le nascite non stanno riprendendo perché il figlio unico è diventato mentalità. Se anche si danno incentivi a chi fa più di un figlio, molti lo hanno preso per abitudine. In ogni caso, se anche i bambini cominciassero a nascere adesso, prima di arrivare nella piena maturità lavorativa ci vogliono 20 o 30 anni. L’India non ha un problema di sovrappopolazione, ma scoppia di salute demografica, un aspetto che in questo momento le sta dando dei vantaggi.
Quali?
È una delle popolazioni più giovani del mondo, quindi non ha il problema pensionistico che azzoppa Paesi come Francia, Giappone o Germania, o anche l’Italia. Un problema che la Cina avrà a breve, ma l’India no.
(Paolo Rossetti)
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