Settant'anni fa usciva negli Stati Uniti "Il Nipote Picchiatello", terzultimo film con protagonisti Dean Martin e Jerry Lewis

Settant’anni fa usciva negli Stati Uniti quello che da gran parte della storiografia critica è considerato il miglior film della coppia comica Martin & Lewis, nonché il loro terzultimo insieme, quello durante il quale cominciarono ad affiorare le prime divergenze artistiche tra i due. Che infatti si sarebbero separati nel luglio del 1956 dopo un ultimo commovente show al Copacabana di New York, dieci anni esatti dopo l’inizio ufficiale del loro sodalizio.



Parliamo de Il Nipote Picchiatello (You’re Never Too Young), diretto dallo specialista del genere comico-commedia Norman Taurog, nonché mentore dello stesso Lewis futuro regista. Il soggetto, all’origine tratto da una pièce teatrale, è il rifacimento al maschile della commedia del 1942 Frutto Proibito (The Major and the Minor) di Billy Wilder, dove a far la parte della giovane adulta che si finge adolescente – per pagare il biglietto ridotto del treno – è Ginger Rogers.



Invece ne Il Nipote Picchiatello è ovviamente Jerry Lewis il simpatico trasformista, nella parte del giovane garzone di barbiere che per prendere un treno con cui sfuggire a un ladro di diamanti (Raymond Burr, singolare presenza al fianco della coppia Martin & Lewis), non avendo abbastanza denaro per il biglietto intero, si traveste da adolescente. E com’è sempre accaduto nella storia del teatro prima e del cinema poi, il travestimento, di per sé una miniera d’oro per gli autori del genere comico-commedia, diventa il meccanismo narrativo dell’intero film, nonché l’espediente che permette a Jerry Lewis di prodursi in un’esilarante e ammirevole gamma di gag.



Jerry si deve fingere adolescente per necessità di sopravvivenza, per sfuggire a un delinquente, e così la fusione tra il personaggio e le necessità della storia diventa completa. Quindi, il suo comportamento infantile, eccessivo in altre circostanze, questa volta è totalmente giustificato, permettendogli come non mai di regredire togliendo ogni gratuità alla sua esuberante mimica attoriale, trasformando il disordine in totale libertà espressiva.

Come detto, travestimento e imitazione sono i cardini su cui ruota tutto il film. Da ricordare, in tal senso, soprattutto la sequenza del ballo e quella in cui Jerry dirige – al suo modo quasi astratto – un coro di voci maschili e femminili, armoniosamente intrecciate: in entrambi i casi la figura da imitare, più nel senso di un gioco che in quello di una parodia critica (quest’ultima arriverà in altri film successivi), è quella del bello Dean Martin.

Altro momento topico di questo gioco dei doppi (l’adulto nascosto sotto le spoglie di un bambino) è la sequenza iniziale del treno, quando Jerry, incontrato il ladro in cerca del suo diamante (che Jerry porta in tasca inconsapevolmente), fuggendo da lui si imbatte in Nancy (Diana Lynn), insegnante di collegio e fidanzata di Dean Martin. Lei lo ospita nella sua cabina, convinta si tratti di un bambino, magari un po’ cresciutello, concedendogli attenzioni materne dai connotati edipici. Altre sequenze a sfondo velatamente erotico si svolgono poi nel collegio femminile dove Martin fa il maestro di ginnastica e Jerry viene temporaneamente ospitato, tutte godibili, tenendo in debito conto il periodo di produzione del film.

Qui il tema sotteso, se qualcosa del genere si può rintracciare in una pellicola di questo tipo, è quello – eterno – della “battaglia” tra i sessi e tra le generazioni. Come il predecessore di Wilder, il film di Taurog si regge anche su un ricco campionario di allusioni erotiche, in verità molto soft, che diventano, soprattutto nel rapporto tra l’adulto che si finge (creduto) bambino e l’adulta che lo accudisce, un modo simpatico e fortemente empatico per lo spettatore di mettere in ridicolo alcune convenzioni sociali e di genere del mondo degli adulti, e delle loro credenze su quello degli adolescenti.

Per ovvie ragioni, gran parte di tale materiale appare oggi datato, ma comunque interessante, a suo modo sintomo di un’epoca. Rammentando che le produzioni hollywoodiane di allora dovevano soddisfare le regole imposte dal codice Hays di autocensura, nell’ambito della morale e del costume, il film di Taurog – con il fondamentale apporto di un ispirato Jerry Lewis – si segnala anche per l’ingegno con cui ne elude alcuni vincoli, e per la leggerezza nello sfiorare col sorriso le tematiche generazionali suddette.

Solo sfiorare: dire “trattare” sarebbe concedere troppo credito a un film che in fondo altro non vuole se non intrattenere divertendo, mettendo in scena l’ennesima variante del sempiterno gioco del travestimento, riuscendoci veramente molto bene. Per merito, soprattutto, dello spassoso, inimitabile, carissimo Jerry Lewis.

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