La Sindone divide la scienza, ma il suo vero mistero riguarda la fede: non prova miracoli, ma rimanda a Dio.
Inesorabili come le zanzare in una serata estiva, con cadenza ciclica appaiono su svariate testate giornalistiche, nazionali e internazionali, articoli dai titoli altisonanti che danno per certo il fatto che, finalmente, dopo secoli e secoli di indagini (scientifiche e non), sia stata messa la parola “fine” alla grande domanda relativa all’autenticità della Sindone di Torino.
Se, in alcuni casi, l’apertura degli articoli afferma con granitica certezza che la Sindone è del 33 d.C., in altri (a volte si tratta perfino delle stesse testate) si riporta la notizia dell’origine medievale, medievalissima del lenzuolo.
Come nel caso dei recenti articoli riguardanti lo studio di Cicero Moraes, “Image formation on the Holy Shroud – A digital 3D approach”, pubblicato sulla rivista “Archaeometry”.
In questo studio, l’autore è giunto alla conclusione che l’immagine presente sulla Sindone non sarebbe il risultato del contatto tra il lenzuolo e un corpo umano, bensì tra il tessuto e una scultura a bassorilievo.
Come rilevato nel comunicato stampa a cura del Centro Internazionale di Studi sulla Sindone, il fatto che l’immagine sindonica si configuri come una proiezione ortogonale (ossia che un bassorilievo produca un’immagine meno deformata rispetto a un corpo tridimensionale) era noto fin dall’inizio del 1900, grazie agli studi di Yves Delage e Paul Vignon.
Cosa ancor più eclatante, ad escludere la possibilità che l’immagine si sia formata mediante contatto del tessuto con un bassorilievo erano le conclusioni dello STuRP del 1978, tesi confermata da più recenti indagini fisico-chimiche pubblicate su riviste scientifiche accreditate e facilmente consultabili.

Al di là, dunque, delle conclusioni di questo studio (la cui debolezza deriva soprattutto dal fatto di aver saltato a piè pari le precedenti analisi – e relativi risultati – riguardanti questa stessa tematica), ciò che appare evidente è l’attenzione che la Sindone continua a suscitare a livello mediatico, indice del fatto che questo argomento non ha mai smesso di interessare i lettori.
Ma qual è l’origine di questo interesse, immutato nei secoli, per quel tessuto di lino?
A ben guardare, più che la volontà di capire se quello sia realmente il primo selfie della Storia (come la Sindone è stata simpaticamente definita), all’origine di questa curiosità sembra ci sia la domanda che sta al fondo del cuore di ogni creatura umana, e che riguarda l’esistenza di Dio.
Questo quesito, quando coinvolge la Sindone, si scontra subito con un grande fraintendimento, che è quello di accreditare al lenzuolo una parte di risposta su questo argomento (“se la Sindone è quella di Cristo, allora la mia fede è legittimata”).
Si tratta di un equivoco umano, per certi versi comprensibile (l’uomo, nella sua materialità, è alla ricerca anche di elementi tangibili cui ancorare ciò in cui crede), ma pur sempre di una svista. Non è nella Sindone, infatti, che il credente deve cercare una risposta alla sua sete di Dio e al vuoto che attanaglia, seppur in gradi diversi, ogni essere umano. Non è nella Sindone che il cristiano deve cercare un’alternativa al ritenere che ogni giorno della propria vita sia solo un conto alla rovescia verso la morte e l’oblio.
L’unica fonte di salvezza è Colui a cui la Sindone rimanda.
E questo è l’unico motivo che spiega perché, ancora oggi, le varie teorie riguardanti la Sindone sono al centro dell’attenzione delle testate giornalistiche.
Perché, come già osservato da Yves Delage in tempi ormai remoti, se sulla Sindone fosse stata impressa l’immagine del corpo di un uomo qualunque, questo telo non sarebbe interessato a nessuno.
