La Francia, al pari di tutte le altre democrazie europee e non, ha tutelato i propri interessi di potere politico ed economico (alludiamo al petrolio come all’uso dell’uranio) utilizzando un modus operandi analogo e speculare a quello delle dittature a dimostrazione di come in determinati ambiti come quello della politica estera le democrazie europee – come quelle extraeuropee -non abbiano dimostrato di essere per nulla molto diverse dai sistemi autocratici che a parole hanno condannato ma che poi di fatto hanno appoggiato a livello militare e sostenuto a livello finanziario.
Molti parlerebbero a questo punto di una flagrante contraddizione da parte delle democrazie rispetto ai principi ai quali le democrazie si ispirano. Ma sarebbe una spiegazione troppo facile e troppo comoda. Basti pensare alle numerose connivenze e complicità della strategia della tensione con gli apparati di potere nostrani e non. E se invece la spiegazione di questo modo di agire fosse legata alla natura stessa del potere e al suo volto demoniaco il cui esercizio in alcuni contesti storico ha seguito – e segue – regole molto differenti dai sacri principi della morale e della democrazia? Se insomma lo Stato formale, legale si sia sempre storicamente interfacciato con uno stato oscuro, parallelo invisibile agli occhi dei più ma non per questo meno pervasivo, meno influente e meno pericoloso?
Grazie al petrolio, all’uranio e alle risorse agricole come la canna da zucchero o il legno di okoumé (utilizzato per il compensato), la Repubblica del Gabon è stato lo stato in più rapida crescita nell’Africa nera francofona, in quindici anni di sviluppo dopo l’indipendenza del 17 agosto 1960. È proprio per questo la Francia che allora in Africa aveva un ruolo determinante creò una rete di potere occulta e nel contempo capillare grazie agli uomini chiave del sistema francese africano in Africa. Stiamo alludendo naturalmente al ministro degli esteri occulto dell’Eliseo e cioè a Jacques Foccart al colonnello Maurice Robert della Sdece ma anche la compagnia petrolifera Elf-Erap di Pierre Guillaumat (futura Total) hanno tutto l’interesse a garantire una grande stabilità politica in Gabon che fu messa a rischio quando il primo presidente Léon M’Ba fu rovesciato all’inizio del 1964 da un “comitato rivoluzionario”, sostenuto dagli interessi americano-britannici.
Ma la situazione si trasforma quasi immediatamente quando fu riportato al potere grazie al dirigente locale della Sdece, Bob Maloubier e dei soldati dell’11esima Divisione aviotrasportata che fecero un contro-golpe. Tuttavia, la tregua è di breve durata. Gravemente malato, Léon M’Ba prepara la sua successione nella persona di un vicepresidente, dello stesso gruppo etnico, Albert Bernard Bongo (presto convertito all’islam con il nome di Omar Bongo), che gli successe, dopo la sua morte a Parigi il 2 dicembre 1967. L’ascesa al potere di Bongo fu principalmente controllata a distanza da quello che allora fu chiamato il “clan gabonese” intorno a Maurice Delauney, l’ambasciatore nominato su istigazione di Foccart che contribuirà a indirizzare il despota africano verso un sistema di potere autocratico caratterizzato dal divieto di partiti e giornali di opposizione e dalla creazione dell’unico Partito Democratico Gabonese (Pdg).
Se tutto ciò fu possibile fu anche grazie al gotha del barbouzerie francese in Africa: a Bob Maloubier fondatore della Guardia Presidenziale, dal generale Le Bras, dal Servizio di controspionaggio, specializzato nella liquidazione degli avversari, e guidato dal futuro capo del Servizio di azione civica (Sac), Pierre Debiz. Per non parlare dell’interfaccia con il servizio di intelligence interno della società Elf, creato da un asso del servizio Sdece e cioè Jean Tropel, dai mercenari della banda di Bob Denard ,dagli agenti corruttori di Elf-Gabon.
Nel 1983, il giornalista Pierre Péan che a lungo si è occupato dei retroscena della presenza francese in Africa nel suo libro investigativo African Affairs, in cui descrive questo universo spietato, come un “piccolo emirato equatoriale pieno di petrolio e altre risorse strategiche”, saggio questo che non solo gli valse un enorme successo a livello editoriale ma numerosi processi e persino una tentata aggressione alla sua persona. Agli uomini di potere dell’Eliseo e soprattutto all’uomo di potere del Congo non piaceva davvero che Péan raccontasse anche in dettaglio come il presidente del Gabon fece assassinare Robert Luong, l’amante di sua moglie Marie-Jo il 27 ottobre 1979. In breve, d’ora in poi, il re è nudo: vengono esposte le turpitudini di Omar Bongo e dei suoi amici focartiani. Ma come ebbe modo di liberare il giornalista francese Omar Bongo era indispensabile per i francesi anche per organizzare operazioni sporche a livello militare come quella in Kolwezi, nello Zaire, nel giugno 1978 affidandosi anche ad un altro fedele amico della Repubblica, il re Hassan II del Marocco. A proposito del quale… Ecco un re che non è sempre stato nell’odore della santità in Francia. Il rapimento nel mezzo di Parigi dell’avversario marocchino Medhi Ben Barka nel 1965 indignò così tanto l’opinione pubblica francese e il generale de Gaulle che il giovane re Hassan II si trovò per qualche tempo relegato nel purgatorio degli amici di Francia.
Anche se la responsabilità di questo rapimento e omicidio spetta tecnicamente al generale Mohamed Oufkir, suo ministro dell’Interno, il vero istigatore della scomparsa di Ben Barka è il sovrano marocchino. Mentre il generale Oufkir si “suicidò” con un proiettile, il suo assistente Ahmed Dlimi lo sostituì. Quando era vicedirettore della sicurezza, Dlimi si era fatto una buona reputazione come “tecnico di interrogatori” dei prigionieri, usando torture, imbalsamando gli oppositori che erano diventati “non morti” nella prigione di Tazmamart o trasformando i membri della famiglia Oufkir in vere e proprie “maschere di ferro” del XX secolo.
Gli emissari francesi lo avvicinano. Tra questi, Louis Joxe, il gollista che ha svolto un ruolo di primo piano nei negoziati di pace di Evian con l’Algeria ma soprattutto Alexandre de Marenches, il capo di Sdece dal 1970 la cui moglie viveva in Marocco in gioventù: organizzerà persino un’incrollabile alleanza di servizi segreti contro il comunismo in Africa, con il Marocco come suo alleato più sicuro. Ma per quale ragione sarà avvicinato dalla Francia? Perché diventerà uno strumento a favore della repressione dei comunisti in Algeria e in cambio, sotto la presidenza di Valéry Giscard d’Estaing, la Francia aiuterà i marocchini nella repressione dei separatisti saharawi guidati dal Fronte Polisario (Fronte popolare per la liberazione di Saguia el-Hamra e Rio de Oro). Questa “guerra di sabbia” del Sahara occidentale a sua volta suggella il destino del generale Dlimi: incapace di sconfiggere il Fronte Polisario, armato dalla vicina Algeria, fu misteriosamente schiacciato il 25 gennaio 1983 da un camion a Marrakech.
Il sostituto di Dlimi a capo dei servizi segreti, Driss Basri, accompagnerà la discesa nell’inferno del Marocco, dalla repressione dei saharawi fino alla morte di Hassan II nel 1999. Nei decenni successivi, il Marocco diventa una destinazione turistica preferita, grazie alla bellezza dei suoi paesaggi, dal Club Méditerranée, alla convivialità della sua popolazione, ai suoi prezzi imbattibili che nascondono la repressione diffusa. Artisti, scrittori, leader politici e industriali francesi di ogni tipo si crogiolano al Palazzo Mamounia di Marrakech e partecipano a sontuosi festival degni di mille e una notte. Sua Maestà ha i mezzi per farlo: ha una delle dieci più grandi fortune del mondo, possiede i terreni minerari e agricoli ereditati durante l’indipendenza del 1956.
Per non parlare del fatto che specialisti, come quelli del Geopolitical Drug Observatory (Ogd), identificano ramificazioni molto redditizie della coltivazione della cannabis dalla provincia del Rif ai gradini della casa reale. Infatti, secondo un rapporto ODG (1995), il Marocco è il principale esportatore di hashish sul mercato europeo e i ricavi dei derivati della cannabis sono la principale fonte di valuta del paese: sono stimati in 1,5 miliardi di dollari. Peccato che venga definito addirittura un genio della politica dal segretario perpetuo dell’Accademia di Francia, Maurice Druon. Hassan II abilmente agisce come intermediario nel conflitto arabo-israeliano. Protettore di tutti i credenti, protegge anche gli ebrei marocchini, il primo dei quali, André Azoulay, è anche il suo consigliere privato per gli affari economici.
Nel 1990, con il suo libro Notre ami le roi, lo scrittore Gilles Perrault strappò il modesto velo che nasconde la sinistra realtà di trent’anni di regno. Getta luce sulle prigioni, sulle torture, sugli scomparsi come Abraham Serfaty, il Mandela marocchino (detenuto per diciassette anni, dal 1974 al 1991), e, molto più imbarazzante, sulla collusione francese, a sinistra e a destra, con il Palazzo. Il libro sarà vietato in Marocco. Ne è seguita una controversia. Due anni dopo, uno dei più noti avversario del sovrano marocchino Moumen Diouri, scrive un libro-denuncia “Chi possiede il Marocco”? La risposta sarà brutale: il libro viene sequestrato e vietato in Francia, su istigazione di un caro amico del re, il ministro dell’Interno Charles Pasqua. Con la morte del re il 23 luglio 1999, la pressione dell’opinione pubblica in Francia e quella delle nuove forze emerse – compresi gli islamisti – costringeranno ora il suo giovane figlio, Mohammed VI, a intraprendere riforme aperte e costringere alcuni amici francesi del Marocco a mantenere un po’ più di moderazione.
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