Storia dell'Ilva, da motore economico del Sud a possibile bomba sociale: l'inizio della crisi industriale e il rischio attuale di chiusura degli altiforni
La questione Ilva raccontata al cinema con Palazzina Laf, il film con cui Michele Riondino ha esordito alla regia e che viene trasmesso oggi in prima visione su Rai 3. Infatti, la pellicola prende il nome da una palazzina all’interno dell’acciaieria, quella destinata ai lavoratori “scomodi”. Dunque, il film racconta in maniera profonda e drammatica l’azienda pugliese, che rappresenta un capitolo oscuro della storia italiana, tra inquinamento e mobbing, in un quadro di difficili condizioni lavorative e problematiche ambientali.
L’Ilva è una grande acciaieria, una delle più grandi d’Europa, lanciata negli anni ’60 a Taranto. Ha dato occupazione a migliaia di operai, diventando un motore economico per il Sud Italia. Ma la sua attività ha causato enormi emissioni inquinanti, tra diossine, polveri sottili e metalli pesanti, rendendo la città pugliese una delle aree più inquinate d’Europa, con effetti seri sulla salute: aumento dei tumori, malattie respiratorie e mortalità infantile sopra la media nazionale.
Alla luce di tutto ciò, nel 2012 la magistratura dispose il sequestro degli impianti per disastro ambientale, con la famiglia Riva finita sotto indagine per reati ambientali e frodi. Alle vicende giudiziarie, tra processi e condanne, si è affiancata la crisi industriale, perché dopo il sequestro l’Ilva è stata prima commissariata e poi venduta ad ArcelorMittal.
Lo Stato è poi tornato a controllarla parzialmente tramite Acciaierie d’Italia, senza però risolvere la situazione, poiché l’acciaieria continua a restare attiva, ma con gravi problemi produttivi e finanziari, tra proteste di lavoratori, cittadini e ambientalisti. Al momento, sembra lontana una soluzione definitiva, tra chi vuole la chiusura per motivi ambientali e chi invece teme la perdita di migliaia di posti di lavoro.
LA STORIA DELLA CRISI INDUSTRIALE DELL’ILVA
La crisi aziendale dell’Ilva di Taranto, una delle più gravi nella storia industriale italiana, parte dagli anni Duemila, quando calarono gli investimenti per la sicurezza e l’ammodernamento degli impianti. La produzione restò alta, ma a scapito della manutenzione. Emersero gravi criticità ambientali che pesarono sull’immagine e sui conti.
La crisi si aprì però nel 2012 con il sequestro disposto dalla magistratura, per il quale l’azienda entrò in amministrazione straordinaria, con la produzione che calò drasticamente; perdita di commesse e quote di mercato furono tra le principali conseguenze. Dopo anni di gestione fallimentare, ci fu la cessione al colosso franco-indiano ArcelorMittal, che prometteva investimenti, chiedendo però uno scudo penale per non rispondere dei danni ambientali pregressi.
Le promesse non vennero mantenute dallo Stato, quindi nel 2019 ci fu il passo indietro. Venne creata una joint venture tra Invitalia e ArcelorMittal che ha dato vita ad Acciaierie d’Italia, che però non ha risolto la crisi, perché gli impianti sono obsoleti e la produzione è bassa.
LA SITUAZIONE CRITICA DELL’EX ILVA
Ora l’ex Ilva di Taranto è di nuovo al centro di uno scontro tra governo e sindacati, con il rischio di chiusura degli altiforni entro luglio e gravi conseguenze a livello occupazionale. Infatti, già 4.000 lavoratori sono in cassa integrazione, ma ora gli impianti potrebbero chiudere.
Da un lato, c’è un piano a lungo termine per rendere la produzione dell’acciaio più ecologica, ma servono un’approvazione ambientale e un coinvolgimento degli enti locali, a cui il ministro Adolfo Urso chiede collaborazione, altrimenti l’investimento internazionale rischia di saltare.
I sindacati chiedono ora la riapertura di un tavolo di confronto a Palazzo Chigi per trovare una soluzione e scongiurare il collasso del più grande polo siderurgico italiano, salvaguardando migliaia di posti di lavoro.