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Home » Impresa » IL CASO/ Così la Germania mette in crisi le nostre imprese (ma rischia un autogol)

  • Impresa

IL CASO/ Così la Germania mette in crisi le nostre imprese (ma rischia un autogol)

Int. Giancarlo Marini
Pubblicato 19 Ottobre 2012
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Infophoto

GIANCARLO MARINI spiega perché il persistere dei spread a livelli inaccettabili favorisce il rifinanziamento del debito pubblico tedesco a tassi estremamente vantaggiosi e competitivi

Il denaro costa. E in certi posti costa più che altrove. In Italia, ad esempio, un’impresa che chiede un finanziamento a una banca lo pagherà mediamente il 2% in più di una tedesca. E, in assoluto, si vedrà applicato un tasso d’interesse del 4,53%. Sono i dati contenuti nell’ultimo bollettino della Banca d’Italia, rivelatori di come, nonostante, ultimamente, gli spread tra i titoli italiani e tedeschi si siano abbassati, tanta strada resta ancora da fare. In termini, ovviamente, di un ulteriore abbassamento. Sta di fatto che il tempo manca. Il nostro tessuto industriale è ancora sano. Ma, senza ossigeno, stenta a sopravvivere. Non è un caso che secondo le ultime rilevazioni Istat, ad agosto il fatturato dell’industria abbia registrato un incremento del 2,9% rispetto a luglio, ma una diminuzione, in termini tendenziali, del 2,6% (-4,9% sul mercato interno, +2,3% sull’export). Come dire: se le nostre aziende esportano, vuol dire che sono ancora in forze. Ma la situazione interna sta per collassare. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Giancarlo Marini, direttore del Dipartimento di Economia Diritto e Istituzioni dell’Università Tor Vergata di Roma.


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Che valutazione dà del report di Bankitalia?

Va da sé che i costi più elevati dell’accesso al credito penalizzino non poco le nostre imprese. E che, l’intera economia tedesca risulti, nel suo insieme, in una condizione più favorevole. Ma è singolare che i tedeschi facciano competizione agli altri Paesi della zona euro, pur facendone parte, in modo tale da acuire le differenze industriali attraverso metodi che, di fatto, sebbene non esistano più le divise nazionali, corrispondono a manovre di apprezzamento o deprezzamento.


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D’altro canto, sarebbe forse legittimo chiedere alla Germania di prestare alle proprie imprese denaro a un prezzo più alto?

Questo no di certo. Ma sarebbe il caso che la Germania la finisse di insistere con tutti quegli atteggiamenti che, a oggi, ancora impediscono di attuare manovre che realmente servirebbero ad abbattere lo spread. Benché si sia abbassato, infatti, resta sopra i 300 punti base. A livelli, quindi, inaccettabili.

Cosa impedisce la Germania?

Se la Bce potesse acquistare titoli di Stato in misura illimitata e sul mercato primario, immediatamente gli spread scenderebbero a zero. Ma questo non lo consentirà mai.


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Perché no?

Perché se il differenziale tra i titoli di Stato degli altri Paesi e i suoi rimane alto, può rifinanziare il suo debito a tassi estremamente vantaggiosi. Di conseguenza, la banche, non dovendo emettere obbligazioni competitive con quelle emesse dallo Stato, possono liberare risorse da destinare a famiglie e imprese. Ne beneficia, quindi, tutto il suo sistema economico. Tutto ciò, in una comunità che sta tentando di dotarsi di un’autorità bancaria unica, di un regime fiscale omogeneizzato e che procede verso l’integrazione politica, non è più accettabile. Tanto più che, sul lungo periodo, risulterà dannoso per la stessa Germania.

In che termini?

Gli altri Paesi, non essendo più in grado di reggere queste forme di concorrenza, potrebbero ritenere che sia preferibile uscire dall’euro. Il che, come è stato ampliamente dimostrato, sarebbe per la Germania esiziale. I primi a uscire, infatti, sarebbero Paesi nei cui confronti l’esposizione delle banche tedesche è estremamente elevata. Oltretutto, deprezzando la proprio moneta nazionale, risulterebbero a quel punto più competitivi della Germania stessa.  

Crede che sia possibile agire a livello domestico?

Temo di no. Le banche, effettivamente, sono diventate eccessivamente caute. Tuttavia, c’è un livello di sfiducia tale nelle prospettive di crescita, e tanti e tali vincoli a livello di normative europee che difficilmente, sul piano interno, si potrebbe agire; un bel problema. Tanto più che, a fronte dei dati sugli ordinativi, scopriamo che le nostre aziende sono sane. Ma, per le difficoltà interne, rischiano il fallimento. E il fallimento di un’azienda sana rappresenta un dramma. Difficilmente, infatti, in questa fase recessiva, un’azienda che fallisce viene sostituita da un’altra mentre, in un perverso circolo vizioso, se va a rotoli il nostro sistema imprenditoriale a causa dello scarso accesso al credito, vanno a rotoli pure le banche. Credo che l’unica soluzione vada perseguita a livello europeo. 

 

(Paolo Nessi)


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