LA STORIA/ Se una tazzina può “portare” l’Italia a Londra, Mosca e Teheran

- int. Barbara Villari

BARBARA VILLARI e il racconto dell'impresa di famiglia: ecco cosa vuol dire lavorare a un'arte che ha più di 500 anni di storia, ma che non vuole smettere di sorprendere e sperimentare

villari_phixr Una creazione Villari

Alla fine degli anni ’60 Cesare e Silvia Villari fondano una piccola azienda che produce porcellane. Il loro punto forte sono sempre state le riproduzioni del Capodimonte, per cui sono apprezzati in tutto il mondo, ma anche il Barocco e il Neoclassico. Al 100% “made in Italy” e abituati a lavorare impiegando alcuni dei materiali più preziosi, come l’oro 24 carati, il platino e il cristallo Swarovski, presto iniziano a vendere in Russia, Cina e India. Gli oggetti Villari sono acquistabili, oltre che nei più prestigiosi negozi e gioiellerie italiani, anche in una delle location più ambite da chi lavora nel settore: si tratta della Luxury Dinning Room di Harrods a Londra che ospita una Villari Boutique. Le altre sono a Teheran, Dubai, Mosca, Almaty e Astana. I Villari, che hanno sempre collaborato con artisti di fama internazionale (come Jeff Koons, noto esponente americano della pop art, per il quale hanno realizzato la statua Michael Jackson and Bubbles in 5 esemplari, uno dei quali è stato venduto nel 2001 da Sotheby’s a 5 milioni e 615 mila dollari e un altro esemplare si trova oggi al Moma di San Francisco), oggi continuano a lavorare in un settore che ha origini antichissime ma che non smette di sorprendere i suoi estimatori. Negli anni duemila, oltretutto, hanno fatto il loro ingresso in azienda i figli. IlSussidiario.net ha intervistato Barbara, direttore artistico in azienda, per farsi raccontare come ha deciso di iniziare quest’attività e cosa vuol dire lavorare e vendere porcellane nel 2012.

La sua azienda ha quasi mezzo secolo di storia nella produzione di complementi d’arredo, in particolare porcellane. Ci spiega cosa vuol dire produrre porcellane oggi?

Produrre oggi in Italia è, più che un lavoro, una missione. La definirei una sfida. Per noi sarebbe sicuramente molto più semplice e meno dispendioso produrre tutto in Cina e – come molti già fanno – attaccare solo successivamente ai prodotti un bel marchietto con scritto “made in Italy”. Ma non è quello che noi vogliamo fare.

Mi lasci immaginare… sarebbe più semplice andare in Cina per via del costo del lavoro?

Come lei sa, in Italia, il costo della mano d’opera è altissimo e – oltre al danno, la beffa – i nostri dipendenti ricevono in busta paga solo la metà di quello che noi versiamo. Tutto il resto finisce nelle casse dello Stato. Non aggiungo altro. Ma questo è solo il primo grande scoglio per noi imprenditori. Dopo di che, c’è una serie infinita di motivi per cui produrre in Italia al giorno d’oggi è diventato una vera e propria missione.

Quali?

Gliene dico solo uno: burocrazia a non finire. Quintali di carta che ogni giorno siamo costretti a produrre. Certificati, norme di sicurezza che continuamente cambiano…

E poi cos’altro non va?

Costi che lievitano giorno per giorno, come la benzina e di conseguenza i trasporti; la normativa sul lavoro che non premia il merito ma il menefreghismo. Purtroppo l’Italia da questo punto di vista è un Paese estremamente arretrato e spesso per via di leggi assistenzialiste. E chi ci rimette non sono solo le aziende, che sono costrette a mantenere i menefreghisti e non assumono più per il terrore poi di non potersi liberare di chi non fa il proprio dovere, ma anche i bravi operai coscienziosi, che si trovano a dover lavorare anche per chi non lo fa. Vogliamo parlare poi del livello di tassazione delle nostre aziende?

Immagino che sarà elevato, come è stato evidenziato più volte. Torniamo alla questione iniziale: come mai non siete andati in Cina a produrre?

Il motivo per cui comunque la nostra decisione è stata quella di continuare a produrre in Italia risiede nel fatto che tutti noi crediamo che il nostro Paese vada aiutato e incentivato. Il valore dell’italianità è unico e riconosciuto in tutto il mondo. Io ho vissuto tutta la mia infanzia, se così si può dire, “tra la casa e la bottega” di famiglia. Per molti anni la casa dove siamo cresciuti era proprio accostata alla fabbrica, perciò con i miei fratelli Alessandra e Leone, sin da bambini, abbiamo respirato il profumo della porcellana, e abbiamo visto persone da tutto il mondo visitare l’atelier di famiglia. Inizialmente ci sembrava tutto un gioco e oggi invece rappresenta il nostro futuro. Forse questo è uno dei motivi per cui siamo così attaccati al nostro lavoro e abbiamo imparato ad amare l’arte e il nostro Paese.

 

In un periodo di forte recessione come l’attuale c’è ancora qualcuno che può permettersi di comprare porcellane?

 

In un periodo orribile come quello che stiamo vivendo fortunatamente c’è ancora qualcuno che può permettersi di comprare prodotti di qualità. Anche se molto meno di un tempo. Tuttavia, in Italia, noto con piacere che la gente spende meno, ma spende meglio. Magari rinuncia a comprare oggetti di poco valore e preferisce acquistare qualcosa che rimane nel tempo. Resta il fatto che è il mercato estero in questo momento a sostenere maggiormente la nostra azienda.

 

Da quali paesi ricevete più ordini?

 

Sicuramente i paesi emergenti come la Russia e quelli del Medio Oriente stanno offrendo nuove possibilità. Mentre la Cina e l’India rappresentano già mercati di una certa importanza.

 

E in Italia a chi vendete?

 

In Italia vendiamo ai negozi di alto livello come gioiellerie, liste nozze e negozi di arredamento.

 

Qual è il prodotto che va per la maggiore?

 

Non abbiamo un prodotto che vendiamo maggiormente: la nostra fortuna è che tutte le nostre collezioni sono molto apprezzate.

 

Come è cambiata la vostra azienda in 50 anni?

 

Da sempre la porcellana rappresenta qualcosa di unico, raffinato ed evoca atmosfere d’altri tempi, che vanno al di là del concetto di lusso in quanto tale. Porcellana significa anche qualcosa di più. Non è un caso che Carlo di Borbone, quando nel 1734 conquistò il regno di Napoli e divenne re di Napoli e delle due Sicilie, volle realizzare per il suo diletto una fabbrica come quella della moglie Maria Amalia Walburg di Sassonia. Maria Amalia, che aveva portato dalla Germania la tradizione dei Meissen (le porcellane di Dresda, ndr), suscitò nel marito questa passione che poi è rimasta in Italia ed è giunta sino ai giorni nostri. Negli ultimi 50 anni Villari ha riprodotto  fedelmente porcellane Capodimonte e collezioni Impero, oggetti unici e pregiati che decorano i palazzi e le ville in tutto il mondo.

 

E adesso?

Siamo nati con il Capodimonte, ma negli ultimi 15 anni l’azienda si è evoluta moltissimo. Mia madre Silvia ha creato un’intera collezione Impero, ormai conosciuta in tutto il mondo, e personalmente mi sono cimentata in una collezione contemporanea che mantiene i preziosismi dei materiali, come l’oro e il platino, ma li semplifica esaltandone forme e materia.

 

Lei poi di cosa si occupa in azienda?

 

Personalmente mi occupo anche della promozione dell’immagine della nostra azienda e del marketing del prodotto. Quest’anno stiamo lavorando a un project department che sto seguendo con uno staff e che ci permetterà di offrire ai nostri clienti un’assistenza completa, anche dal punto di vista progettuale.

 

Quali risultati ha conseguito?

 

E da un po’ di anni che stiamo sviluppando il “monobrand”, con il progetto di diffondere altrove le Villari Boutique. Oggi sono sei: a Mosca, Londra, Teheran, Dubai, Almaty e Astana.

 

E gli altri membri della famiglia cosa fanno?

 

Alessandra, mia sorella, insieme con il marito Jean Sebastien, hanno fortemente sviluppato tutto l’aspetto commerciale dell’azienda e ci hanno permesso di arrivare nei negozi più prestigiosi al mondo. Leone, il più giovane, invece, si occupa dell’aspetto produttivo e ha sviluppato una personale collezione, una limited edition: sono animali incastonati di cristalli Swarovski. Pezzi unici davvero meravigliosi. Vede, siamo un’azienda in continua evoluzione pur mantenendo ben fisse le nostre radici.

 

Il classico italiano, il complemento d’arredo, è un settore che ha ancora futuro?

 

Assolutamente sì. Il made in italy è il futuro. E il classico italiano rappresenta proprio questo.

 

Dal 10 al 13 ottobre ci saranno i Saloni Worldwide a Mosca. Perché un piccolo imprenditore o artigiano dell’arredo dovrebbe andarci?

 

Perché è la fiera più importante per chi vuole cominciare ad affacciarsi al mercato russo.

 

(Matteo Rigamonti)





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