Da cinque anni l’Istituto Bruno Leoni pubblica l’Indice delle liberalizzazioni, un manuale sul grado di apertura (o chiusura, a seconda dei punti di vista) di 16 settori del mercato italiano. La sua uscita è un appuntamento fisso per la riflessione sullo stato dell’economia italiana e, per il suo approccio scientifico, interessa sia chi è favorevole, sia chi è contrario a una maggiore concorrenza nel mercato italiano. Quest’anno l’Indice segna un balzo in avanti di 3 punti percentuali e passa dal 49% del 2011 al 52% del 2012. E’ l’incremento più significativo: dal 2007, anno della prima pubblicazione, al 2011 l’indice oscillava tra il 47% e il 49%.
L’indice non misura il grado di liberalizzazione in senso assoluto, ma la situazione italiana rispetto alla migliore performance degli altri paesi europei settore per settore, quindi la nostra economia non è liberalizzata al 52% in assoluto, ma è liberalizzata la metà rispetto alle best practices europee. Il merito dei progressi è dovuto principalmente ai provvedimenti del governo Monti nonostante le timidezze e le retromarce sui provvedimenti di liberalizzazioni molto spesso criticate dallo stesso Istituto Bruno Leoni. I segnali migliori arrivano dalle autostrade, dove c’è stato un balzo in avanti dal 28% al 40% a causa di due motivi: la rottura del conflitto di interessi dell’Anas che in diversi casi era regolatore del settore e gestore di alcune autostrade e l’istituzione di un’authority indipendente che regolerà e controllerà i concessionari del settore.
Altri segnali positivi arrivano dalle poste e dalle professioni: il +5% segnato dal settore postale è merito di direttive europee, il governo ha recepito solo il minimo indispensabile e avrebbe potuto fare molto di più, ma comunque il potere di mercato di Poste italiane è diventato più contendibile. Per quanto riguarda il settore degli ordini professionali, che segna un +5%, i meriti sono delle liberalizzazioni del governo Monti nonostante i passi indietro e le trattative con le rispettive categorie abbiano limitato notevolmente la portata dei provvedimenti.
Nonostante l’indice complessivo abbia segnato un incremento ci sono diversi settori che hanno peggiorato il grado di liberalizzazione, come i servizi finanziari (-3%), il mercato televisivo (-1%) e il fisco (-1%) a dimostrazione delle critiche imputate al governo per il mancato intervento su quelli che volgarmente vengono definiti “poteri forti” e per aver preferito smisuratamente la tassazione ai tagli di spesa pubblica. Non sono stati fatti grossi passi in avanti nello smantellamento di quel “socialismo municipale” in cui la classe politica, attraverso le municipalizzate, blocca la concorrenza e drena importanti risorse alla società e nemmeno sul fronte del trasporto ferroviario.
Il fatto che l’Indice delle liberalizzazioni segni il miglior dato da cinque anni a questa parte senza che siano stati adottati provvedimenti incisivi, dimostra che in Italia basta fare poco per avere un mercato più liberalizzato e che, di conseguenza, c’è ancora molto da fare.
Sembra paradossale che i maggiori incrementi del grado di liberalizzazione siano arrivati nell’anno nero della crisi, ma in realtà è la dimostrazione che la crisi economica ha portato al pettine i nodi decennali del declino italiano. Stato troppo costoso, Pubblica amministrazione inefficiente, burocrazia mastodontica, pervasività del potere politico e conseguente corruzione sono handicap che non possiamo più permetterci. Ma, se la strada imboccata è quella giusta, andiamo a rilento con i tempi.
Il mondo non aspetta, se vogliamo fermare il declino dell’Italia abbiamo bisogno di restituire alla società risorse, concorrenza e libertà necessarie alla crescita attraverso un incisivo processo di liberalizzazioni e privatizzazioni. È la sfida del dopo-Monti.