“Negli ultimi mesi, anche in virtù del miglioramento del ciclo economico europeo, sono emersi per l’economia italiana alcuni segnali qualitativi positivi. Il giudizio delle imprese sulle condizioni per investire è migliorato, tornando su valori prossimi a quelli precedenti la crisi dell’estate del 2011, sia nell’industria sia nei servizi”. È quanto riportato nell’ultimo bollettino mensile della Banca d’Italia, secondo cui la ripresa ci sarà già alla fine di quest’anno. Commentando la legge di stabilità, il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha detto al contrario che “i passi sarebbero anche nella direzione giusta, ma ancora una volta non sono sufficienti per farci ritrovare la crescita”. Per l’ex ministro delle Finanze, Francesco Forte, «in Italia la ripresa del 2014 sarà molto modesta, e il principale ostacolo è la mancanza di certezze sul piano finanziario».
Professor Forte, perché le posizioni della Banca d’Italia e di Confindustria sulla ripresa sono così diverse?
In realtà, sono meno diverse di quanto sembri. Il bollettino della Banca d’Italia non parla di una certezza, ma si limita a constatare “la possibilità di un’inversione di tendenza”. Per ora il dato di fatto è che “nel trimestre estivo il ritmo di caduta del Pil dovrebbe essersi pressoché annullato”, ma non si può dire nulla di settembre che è un mese decisivo. Anch’io mi attendo una certa ripresa rispetto al declino dell’anno scorso, ma è difficile prevedere quando avverrà e la manovra del governo Letta da questo punto di vista non è risolutiva.
Si riferisce al fatto che il cuneo fiscale è stato tagliato solo in piccola parte?
Era illusorio pensare che si potesse fare di più senza nello stesso tempo ridurre le spese. Finché si usano delle imposte per ridurne altre, ciò non produce effetti determinanti per la ripresa perché qualsiasi tassa ha degli effetti negativi per l’economia.
Lei quindi che cosa si attende?
Mi attendo una ripresina fiacca a partire da dicembre, a condizione che non ci sia un problema di pagamenti eccessivi e di saldi fiscali. Molto dipenderà dall’andamento economico internazionale, che indubbiamente in Europa è migliorato grazie al fatto che la Bce sta attuando una politica monetaria ancora favorevole. Fatto sta che in Italia la ripresa del 2014 sarà molto modesta.
Quali politiche ritiene che debbano essere attuate per favorire la ripresa?
Il governo dovrebbe stanziare incentivi sostanziosi per i contratti di produttività. L’effetto sarebbe quello di rendere l’economia più competitiva, esportando di più e importando di meno. In secondo luogo, a essere determinante è non tanto la stabilità politica bensì la certezza del quadro finanziario. Il fatto per esempio che non si sappia se l’Imu sulla prima casa sarà abolita o meno e che la Service Tax non sia ancora ben delineata, è un quadro che non induce a investire perché non è fluido. A mancare nella legge di stabilità sono inoltre gli investimenti: grandi opere, banda larga, ripresa dell’edilizia collegata a fenomeno rilevanti di riduzione dell’imposta.
Lei come valuta la presa di posizione di Squinzi?
La stessa Confindustria non ha una posizione chiara. Tutto ciò che sa fare è chiedere allo Stato di compiere degli interventi, mentre nello stesso tempo non fa nulla. Gli industriali non investono, non promettono, non fanno contratti di lavoro, e quella della loro associazione si è ridotta a una sorta di questua. La conseguenza è che l’Italia è un Paese che continua ad andare a rimorchio.
A che cosa si riferisce?
Per esempio, al fatto che la linea presa su Alitalia presenta due punti interrogativi. Il primo è che Air France sembra interessata alla compagnia italiana soltanto per ridimensionarla. Il secondo è che resta da vedere se la Commissione Ue accetterà l’intervento di Poste Italiane. Allo stesso modo, non si sa se Fiat investirà o meno in Italia perché ha chiesto di varare una legge che metta nero su bianco quali sono i poteri decentrati dei sindacati. Dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha abolito l’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori sulle rappresentanze all’interno dell’azienda c’è infatti un vuoto normativo che va riempito.
(Pietro Vernizzi)