Con una lampada a forma di bitta, disegnata da Enzo Berti, hanno vinto l’edizione 2014 del Compasso d’oro, nella categoria Design per l’ambiente. Che per loro vale più del premio in sé. Loro sono quelli di Torremato, il marchio di design lanciato tre anni fa da Il Fanale Group, azienda trevigiana che dal 1979 realizza lampade d’epoca. Il nome Torremato è l’acronimo dei nomi della famiglia proprietaria – i Dalla Torre – e dei fratelli Marzia e Tomas. «Mia sorella Marzia è stata fondamentale in questa avventura – tiene a sottolineare Tomas Dalla Torre, titolare dell’azienda -: se non ci fosse stata lei a credere nel progetto e a darmi il suo supporto probabilmente non ce l’avremmo fatta». Parlando dell’azienda, Dalla Torre racconta: «Facciamo molto custom, molti dei nostri pezzi sono su misura. I nostri architetti sono spesso chiamati a risolvere problemi del cliente. A noi non interessa solo vendere lampade, la soddisfazione più grossa l’abbiamo quando riusciamo a risolvere un problema a un nostro cliente e lui è soddisfatto».
Il Compasso d’oro è un riconoscimento prestigioso, siete soddisfatti?
Ovviamente sì. Anche perché lo abbiamo vinto nella categoria “giusta”, quella del design per l’ambiente. Per noi questo è fondamentale, più del premio in sé.
In che senso?
Perché Torremato nasce proprio sull’esigenza di rispettare l’ambiente; tutte le nostre lampade vengono pensate e realizzate in modo che non creino inquinamento luminoso. Il fatto che questa nostra sensibilità sia stata riconosciuta per noi è molto importante. Poi siamo contenti anche per un altro motivo.
Quale?
Il premio non è, diciamo così, “inquinato” da altri motivi: non c’entrano gli anni in cui uno ha partecipato alla manifestazione – eravamo lì per la prima volta, siamo nati tre anni fa! – non c’entrano motivi di brand o altro; la giuria ce l’ha assegnato solo per il prodotto.
Il Fanale invece?
Il Fanale è il “padre” di Torremato. Si occupa anche lei di illuminazione, ma è un’azienda che punta a riscoprire linee antiche, rivisitate e messe a norma, ricreate per restituire sapori di una volta. Utilizza materiali nobili – ferro, ottone rame – e fa di tutto per non stravolgere la fattura di prodotti d’epoca cercando di mantenere le loro caratteristiche, lasciandoli belli com’erano, solo adeguandoli alle nuove normative.
Piacciono all’estero i prodotti del Fanale?
Sì, sono molto apprezzati all’estero.
Dove, in particolare?
Tolta la Spagna, stiamo pian piano crescendo un po’ ovunque. Ma non abbiamo un volume d’affari di milioni di euro. In Russia, ad esempio, stanno costruendo tanto, e hanno quindi la possibilità di cambiare in maniera molto rapida: hanno impiegato due mesi per passare dagli anni ‘70 al 2000!
In Italia invece?
Il mercato risente della crisi globale; è normale che in un momento come questo si tenda a non sperperare per abbellire la casa. Chi può farlo solitamente è un cliente di fascia alta che può permettersi di spendere qualcosina in più. Bisogna però dire una cosa.
Prego.
In questo momento ci sono aziende che soffrono meno di altre; sono le aziende che hanno capito – come abbiamo fatto noi – che non si può seguire la moda, facendo oggetti di moda, ma semplicemente mantenendo una propria idea. “Se ti piace quello che faccio, bene, altrimenti ho sbagliato io”. Occorre investire moltissimo per star dietro alla moda, senza avere i volumi che hanno gli abiti. Per fare una lampada – progettarla, dare le normative, mandarla a fare controlli – occorrono in tutto sei mesi circa. E questo vale per le cose più semplici. Non riesci neanche ad ammortizzare gli stampi se non fai grandi volumi! Dall’inizio, sia al Fanale che a Torremato, abbiamo capito una cosa.
Quale?
Che la cosa importante è la nostra identità. Poi se a uno piace, bene, ma questo è soggettivo e nessuno può giudicarlo, tranne chi va a comprare. In più, se devo seguire quello che fanno le altre aziende arrivo sempre secondo. Se tra dieci anni la gente si chiederà “ma la tua azienda cosa fa?” vuol dire che qualcosa è andato storto. Dopo dieci anni che sei sul mercato è come ricevere un calcio nel sedere perché vuol dire non aver avuto l’intelligenza di fare un percorso.
Cosa intende?
Fare un percorso è più duro che seguire la moda. Per un’azienda è più faticoso, ma le aziende che hanno fatto questo percorso oggi sono più forti. Avere la propria nicchia è fondamentale. Quello che è importante è saper fare una cosa, quella cosa, farla bene e basta. Quando si parla di un’azienda la prima cosa che deve venire in mente è: che genere fa? Quando si parla del Fanale è chiaro: sono lampade rustiche, coloniali, in ottone. Di Torremato invece si sa che fa oggetti da esterno, di design, bellissimi: magari non si vendono, ma quella è la sua identità.
Su cosa siete impegnati in questo momento?
Torremato sta proseguendo sulla sua strada, per dimostrare che quello che fa è una cosa in cui crede fortemente. Stiamo aprendo anche il mercato americano – e abbiamo già un contatto molto interessante – ma prima di pensare alle vendite stiamo pensando di fare qualcosa di strabello, che incanti – è questa la base – e che non crei inquinamento luminoso. Ci interessa che la gente dica: non mi ero accorto di quell’oggetto perché si adatta perfettamente al paesaggio, sta bene come in un quadro. Un po’ come fanno i tedeschi: pochi pezzi, fatti bene, che la gente non abbia dubbi; poi potranno piacere o non piacere, ma non si potrà dire che sono fatti male.
C’è la possibilità quindi di tenere assieme estetica, risparmio energetico e rispetto dell’ambiente?
Sì, è il nostro obiettivo. Girando per il mondo si vedono molte cose brutte. Non ho mai capito dove fosse la difficoltà tra fare una lampada fatta bene e una fatta per vendere; allora mi sono messo a farle io.
Che rapporto avete con i designer?
Personalmente credo molto nei giovani designer italiani che hanno un dna unico al mondo. Oggi le aziende investono meno perché preferiscono il grande nome. Io invece investo sui ragazzi italiani. Per un motivo semplice.
Di cosa si tratta?
Non credo che un designer possa avere un numero infinito di idee fantastiche, tutte meravigliose; penso piuttosto che le soluzioni migliori nascano da esigenze personali.
Cioè?
Tra gli imprenditori, una delle difficoltà più grosse è non saper ascoltare: se non hai l’umiltà di ascoltare le persone non puoi lamentarti che in giro non c’è mai niente di nuovo. Per riuscire a tirar fuori qualcosa di nuovo spesso basta ascoltare le persone; io faccio così.
Cosa fate a Torremato?
Faccio un esempio. Tutto quello che faremo quest’anno in azienda non si basa su un programma; io non do un briefing ai miei collaboratori. Dico loro: se vi dico cosa dovete fare che fine fa la vostra fantasia? Pensate quello che vorreste e poi cercheremo insieme di farlo diventare possibile. Una delle lampade che stiamo progettando adesso nasce proprio da una di queste esigenze; ma non posso parlarne ora perché siamo troppo lontani dal Salone del mobile.
La presenterete lì?
Sì, al prossimo Salone del mobile presenteremo tre-quattro nuovi oggetti. Ognuno di questi viene da un’intuizione o da un’esigenza particolare delle persone che lavorano con me, mai da uno studio fatto a tavolino per il mercato. Perché quando pensi una cosa per il mercato, una cosa che ti chiedono, vuol dire che è già stata fatta o che comunque qualcuno la farà, così arrivi dopo. E a me arrivare dopo non interessa.
Per il Fanale invece?
Le ultime collezioni risentono delle influenze del nord Europa. Mi è sempre piaciuta l’eleganza con cui costruiscono gli oggetti, riuscendo a essere così sottili. Oggi questo si riflette nelle nostre creazioni che tuttavia mantengono le loro caratteristiche; diventano solo più pulite. L’obiettivo del Fanale è fare anche altre cose, non solo lampade rustiche, che vadano bene al resto del mondo non solo al Veneto, visto che abbiamo una rete vendite globale.
C’è un prodotto dei vostri cui si sente particolarmente legato?
Dico la verità, sono molto legato a quello che ha vinto il premio.
Perché?
Avevo 7 o 8 anni quando mio padre mi portò al porto di Genova. Ricordo che vedendo quelle bitte enormi dissi: perché non gli mettiamo sotto una lampadina così illuminano anche? Mio padre rispose che era una bella idea, che però morì lì. A distanza di quasi trent’anni ho raccontato questa storia a Enrico Berti, che è il designer che ha progettato la lampada-bitta che ha vinto il premio.
Dove sta l’aspetto ecologico di quella lampada?
Non crea inquinamento luminoso perché la luce della bitta è rivolta verso il basso; mentre quella rivolta verso l’alto inquina. Nel caso della bitta la fonte luminosa è nascosta sotto la parte superiore a forma di fungo. Magari tra vent’anni diventerà obbligatorio che tutte le luci puntino verso il basso; lo spero. Così, forse, torneremo a vedere il cielo stellato.