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Home » Impresa » SPILLO/ I numeri che smontano i vantaggi dell’euro debole

  • Impresa

SPILLO/ I numeri che smontano i vantaggi dell’euro debole

Int. Antonio Maria Rinaldi
Pubblicato 26 Maggio 2015
logistica_operai_scatoloni

Infophoto

Per ANTONIO MARIA RINALDI, il calo delle esportazioni italiane si spiega con il fatto che l’euro fa sì che le aziende abbiano una minore disponibilità per gli investimenti e l’innovazione

Nonostante l’euro debole, ad aprile le esportazioni dell’Italia verso i Paesi extra-Ue sono calate del 2% rispetto a marzo, mentre le importazioni sono aumentate dell’1,5%. A diminuire sono soprattutto le esportazioni di beni strumentali che registrano un -6,8%. Aumentano invece le vendite di beni di consumo (+2,6%) e di prodotti intermedi (+1%). Confrontando invece aprile 2015 con lo stesso mese del 2014, le esportazioni verso i Paesi extra-Ue aumentano del 12,2% anche per merito di un giorno lavorativo in più. Positivo anche il dato del primo trimestre 2015 (+4,8%). Ne abbiamo parlato con Antonio Maria Rinaldi, professore di Economia internazionale all’Università di Chieti-Pescara.


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Quali dinamiche hanno portato alla diminuzione delle esportazioni italiane verso i Paesi extra-Ue?

La cosiddetta “letteratura economica” aveva previsto che l’indebolimento dell’euro nei confronti del dollaro avrebbe determinato un sostanziale vantaggio per le esportazioni verso i Paesi esterni all’Eurozona. Fermo restando che il saldo delle esportazioni nell’ultimo trimestre risulta comunque positivo, vanno fatte alcune osservazioni.


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Quali?

Alcune aree di maggiore interesse per l’Italia, come Cina e Usa, non stanno godendo di particolari condizioni di floridità economica e quindi chiaramente non comprano. L’Italia inoltre non riesce più a produrre competitività nonostante il rapporto di cambio dell’euro sia più favorevole. Dovremmo confrontare i nostri dati con quelli provenienti dai nostri partner europei, a cominciare dalla Germania e dalla Francia, per verificare se anche loro hanno subito delle contrazioni.

Per quale motivo l’Italia non riesce più a produrre competitività?

La nostra partecipazione all’unione monetaria fa sì che ne dobbiamo seguire le regole e la rigidità, e di conseguenza il nostro sistema di imprese ha ridotto notevolmente i propri margini di guadagno. Le aziende hanno dunque una minore disponibilità per gli investimenti, e quindi per il rinnovo delle proprie capacità produttive.


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Lo stesso fenomeno si sta registrando anche in Germania?

Assolutamente no. Le imprese tedesche si sono notevolmente avvantaggiate, fanno utili e hanno a disposizione maggiori risorse per gli investimenti innovativi. I prodotti tedeschi hanno un grado di evoluzione estremamente rapido rispetto a quelli italiani. Merito appunto dei maggiori utili, e quindi della possibilità di destinare molte più risorse agli investimenti, cosa che invece le aziende italiane non riescono a fare.

 

Perché le imprese italiane hanno ridotto i margini di guadagno per partecipare all’euro?


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Per un motivo molto semplice: il modello economico sul quale si è forgiata la struttura industriale italiana è completamente diverso dal modello che ci è imposto per la partecipazione all’unione monetaria, che invece è forgiato a uso e consumo della Germania. Il modello tedesco è basato tra l’altro sulla svalutazione del costo del lavoro per mezzo di riforme messe in atto nel passato che comprimono la competitività scaricandola sul lavoratore.

 

Il calo dell’export è stato causato anche dalle politiche di Bce e Fed?

Evidentemente si è esaurito l’effetto della svalutazione dell’euro nei confronti delle esportazioni, anche alla luce del fatto che sono aumentate le importazioni. Queste ultime sulla carta dovrebbero essere meno convenienti, vista la debolezza dell’euro, mentre nella realtà non è così.


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Come si inserisce in questa tendenza la vicenda della Grecia?

L’effetto del ridimensionamento del rapporto di cambio dell’euro è indipendente dal fattore Grecia. Atene potrebbe però influire pienamente sui conti dei vari Stati che partecipano all’unione monetaria, in quanto potrebbe creare problemi di fiducia nei confronti dei titoli emessi. Germania, Francia e Italia sono i Paesi più esposti all’eventuale default greco, avendo impegnato rispettivamente 60, 40 e 39 miliardi di euro.

 

(Pietro Vernizzi)

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