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Home » Impresa » I NUMERI/ La “doccia gelata” sul Pil italiano che frena la ripresa

  • Impresa

I NUMERI/ La “doccia gelata” sul Pil italiano che frena la ripresa

Int. Francesco Daveri
Pubblicato 11 Febbraio 2016
industria_produzione_azienda_fabbrica_operai_impresa

Industria di macchine utensili (Infophoto)

Per FRANCESCO DAVERI, il rallentamento di Russia, Cina, Stati arabi e Paesi emergenti in generale pesa su alcuni settori del Made in Italy che in passato andavano bene come il lusso

Dicembre negativo per la produzione industriale in Italia. Secondo i dati Istat, l’indice destagionalizzato ha registrato un -0,7% rispetto a novembre, che diventa -1% corretto per gli effetti del calendario, in quanto i giorni lavorativi sono stati 21 contro i 20 di dicembre 2014. Nel quarto trimestre la produzione ha segnato il -0,1%, mentre la media 2015 è stata del +1%. La variazione rispetto a novembre è stata del +0,8% per i beni di consumo, -1,8% per i beni intermedi, -1,3% per i beni strumentali, -0,8% per l’energia. Rispetto a dicembre 2014 cresce l’energia (+0,4%), mentre calano beni di consumo (-0,1%), strumentali (-1,6%) e intermedi (-2,6%). Ne abbiamo parlato con Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università Cattolica di Piacenza.


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Quale tendenza emerge dai dati Istat sulla produzione industriale?

Nel quarto trimestre 2015 la produzione industriale ha deluso. Ciò porta a pensare che la crescita del Pil nel quarto trimestre, che conosceremo tra pochi giorni, sarà più vicina allo zero che non ai numeri che avevamo visto il mese precedente. Mi aspetto quindi un +0,1%, ma non il +0,2/+0,3% dei trimestri precedenti. Spero di essere smentito, ma se non fosse così ciò porterebbe a concludere il 2015 con un numero più basso rispetto allo 0,8% che era stato previsto: sarà pari allo 0,7%, se non inferiore.


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Da che cosa è generata questa perdita di velocità della crescita?

Questa perdita di velocità della crescita non è motivata da un rallentamento della domanda interna, che invece continua ad andare abbastanza bene. La crescita piuttosto è meno rapida per ciò che succede sui mercati mondiali. Da un lato a pesare è il rallentamento di Russia, Cina, Stati arabi e Paesi emergenti in generale per alcune parti del Made in Italy che in passato andavano bene, come il lusso e non solo. A ciò si aggiunge un secondo fattore.

Quale?

La produzione di beni intermedi registra un -1,8% rispetto a novembre e un -2,6% rispetto a dicembre 2014. I beni intermedi sono quei semilavorati che le grandi imprese in passato facevano realizzare all’indotto. Ciò segnala il fatto che le grandi imprese, che si sono globalizzate, si servono sempre di più di semilavorati prodotti all’estero. Questo è un elemento di preoccupazione, perché rallenta la capacità delle grandi imprese di creare Pil.


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Questi dati preludono a una nuova crisi globale?

È un po’ presto per tirare queste conclusioni: molto dipenderà da quanto avverrà negli Stati Uniti. Tutto sommato l’America sta continuando ad andare piuttosto bene, e non sarà quindi da lì che verrà una nuova crisi mondiale. Se però gli Stati Uniti andranno bene, i tassi oltreoceano saliranno più di quanto sia successo finora e questo porterà i capitali ad abbandonare i Paesi emergenti, e magari la stessa Europa, per trasferirsi in America. Il tutto con un qualche apprezzamento del dollaro, e magari un po’ di deprezzamento dell’euro.

 

Il fatto che aumentano i beni di consumo mentre diminuiscono quelli intermedi e strumentali vuole dire che la domanda interna sta crescendo, ma le imprese non hanno fiducia nel futuro?

La domanda interna di beni di consumo effettivamente aumenta. Il punto d’altra parte non è che le aziende non abbiano fiducia, ma che obiettivamente fare impresa in Italia costa. Il costo dell’energia in Serbia è il 40% di quello italiano e quello del lavoro è comunque molto inferiore. Un’impresa che va a produrre in Serbia può non pagare tasse per dieci anni. Sono fattori che incidono e che fanno sì che la produzione di beni che richiedono un maggior utilizzo di energia vada a finire in altri Paesi dove il suo costo è più basso, la tassazione è inferiore ed è meno difficile aprire nuovi impianti.

 

(Pietro Vernizzi)


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