La riforma Madia, fra licenziamenti dei furbetti del cartellino, serrata sulle partecipate pubbliche dai bilanci da profondo rosso di argentiana memoria e avvento dell’amministratore unico per tagliare il nugolo di consiglieri di “non amministrazione”, ci sta riproponendo il vetusto – anche se spesso centrato – luogo comune sulla Pubblica amministrazione fardello di Stato. Ma così si dimentica che, nel mare magnum dell’inconcludenza e dell’intollerabile spreco, esistono modelli di società pubbliche che fanno invidia ai grandi colossi privati che erogano i servizi energetici e quelli a essi collegati, come l’intoccabile bene pubblico per eccellenza: l’acqua.
È il caso tutto veneto del Consorzio Viveracqua, una realtà che da diversi anni riunisce 14 società pubbliche che rappresentano 530 Comuni di tutte le province venete e che servono un’utenza superiore ai 4,2 milioni di abitanti. Un modello operativo che, sorto per creare una stabile collaborazione e dare risposte congiunte ai bisogni comuni delle singole consorziate, è presto evoluto in strumento adeguato a elevare al meglio la produttività del personale, a efficientare i costi di gestione del servizio, a ottimizzare la realizzazione delle opere idriche e in particolar modo a far risparmiare e tanto, se si pensa che nel triennio 2013/2015, attraverso la creazione di una sola Centrale acquisti, si sono unificate molte procedure d’acquisizione di beni e servizi a favore dei soci, producendo un risparmio superiore ai 2,5 milioni di euro.
Un esempio di Pa che risparmia? Non solo. Investe pure e tanto. È il primo modello in Europa di raggruppamento di utility che riesce a emettere minibond (gli Hydrobond per l’esattezza) per un valore obbligazionario complessivo di 227 milioni di euro, utilizzati per realizzare nel quadriennio 2014-2018 quasi 1.100 cantieri in Veneto e dare lavoro a oltre 300 addetti di uno dei settori ancora in pesante crisi come quello edile.
E i cantieri li sta finendo tutti e rapidamente, con una tabella di marcia serrata e con diversi altri progetti a cui rivolgere lo sguardo velocemente, come la costituzione di un’unico laboratorio analisi, finalizzato a creare un solo polo di verifiche e controlli su scala regionale, in grado di realizzare ogni anno 100.000 analisi su acque potabili e acque reflue, impegnando circa 100 analisti per un controvalore di analisi di 9 milioni di euro l’anno.
Gli amministratori del Consorzio poi – udite udite – non sono retribuiti e gli utili delle società che lo compongono tutti reinvestiti in progetti di modernizzazione della rete e degli impianti. “Se l’acqua è il bene pubblico per eccellenza, siamo stati in grado di creare un gestore pubblico di eccellenza – è il commento di Fabio Trolese presidente del Consorzio Viveracqua – che sta facendo rete sul serio nel e per il Veneto, intercettando le esigenze dei singoli gestori e degli abitanti: un modello di pubblica amministrazione che economizza e non spreca, che invece sa progettare e cantierare lo sviluppo e l’efficientamento dei servizi idrici, producendo un grande beneficio ambientale ed economico, permettendo anche di minimizzare i possibili aumenti in bolletta previsti dall’Autorità nazionale”.
Troppo bello per sembrare vero. Nella speranza che questo modello convincente dell’acqua del sindaco sia facilmente esportabile in altri settori della nostra tanto vituperata Pubblica amministrazione.
(Nello Bologna)