La produzione industriale italiana diminuisce dello 0,4% tra maggio e giugno e dell’1% tra giugno 2015 e lo stesso mese del 2016. È quanto risulta dagli ultimi dati Istat, che nel trimestre aprile-giugno 2016 registrano una flessione dello 0,4% nei confronti del trimestre gennaio-marzo. Nel confronto tra giugno 2015 e giugno 2016 migliorano solo i beni intermedi (+0,8%), mentre calano l’energia (-5,5%), i beni di consumo (-2,1%) e quelli strumentali (-0,3%). Ne abbiamo parlato con il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie.
Quale scenario ci dobbiamo aspettare per l’Italia alla luce dei dati sulla produzione industriale?
Il dato trimestrale sulla produzione industriale documenta che stiamo attraversando una semi-recessione. La produzione industriale è diminuita dell’1% rispetto al giugno 2015, un fatto che non accadeva da molti anni. Si tratta di una caduta brusca. Che poi la domanda interna rimanga sostanzialmente stabile è un fatto normale, perché i consumi di solito si alimentano dei dati dei mesi precedenti, in particolare di quelli relativi al reddito.
Quali conseguenze avrà il calo della produzione?
Se le imprese registrano un rallentamento della produzione industriale, faranno meno profitti e quindi la situazione di preoccupazione si sposterà sul futuro. Il governo si troverà con grossi problemi nell’affrontare una congiuntura che in Italia ha registrato un indebolimento rilevante, mentre a livello europeo abbiamo una dinamica contenuta ma normale. Dagli indici Markit emerge che l’economia europea nel suo complesso pur avendo rallentato rimane in area positiva, mentre i dati per l’Italia segnalano una recessione.
Come si spiega questa differenza tra l’Italia e il resto d’Europa?
In primo luogo il nostro Paese ha una politica di investimenti pubblici che è ridotta al minimo. Inoltre, dal punto di vista del commercio estero, poiché siamo un Paese mediterraneo, noi soffriamo molto di più degli altri per le turbolenze che attraversano il Medio Oriente. La competitività delle nostre imprese tende molto a diminuire.
Le difficoltà delle nostre banche hanno ripercussioni sull’economia reale?
Sicuramente. Le aziende faticano a modernizzarsi perché le banche non danno credito a causa dei loro problemi con i Non performing loans. Di solito le piccole e medie imprese danno in garanzia gli immobili, ma dal momento che le banche sono piene di immobili non sono interessate a queste garanzie. Nonostante i tassi d’interesse della Bce che sono ridotti al minimo o addirittura negativi, c’è una situazione di strozzatura dei finanziamenti. Un altro fattore di cui tenere conto è la perdurante crisi dell’edilizia.
Quali sono stati gli effetti sulla produttività determinati dal Jobs Act?
Il Jobs Act ha reso il sistema più rigido e costoso, abbassando così la produttività dello 0,5%.
Di fronte a questa situazione, quali margini di manovra ha il nostro governo?
C’è una serie di fattori negativi, tali per cui ora il governo dovrà approvare una legge di bilancio che tenga conto della necessità di stimolare gli investimenti. Nello stesso tempo deve anche ridurre il deficit alla luce del fatto che l’anno prossimo la crescita del Pil sarà bassa in quanto il quadro macroeconomico è peggiorato. Il governo Renzi si trova quindi in una situazione difficile e paga l’errore di avere voluto guadagnare tempo. Pochi mesi fa Renzi accusava i pessimisti di essere dei gufi, mentre ora ci rendiamo conto del fatto che Palazzo Chigi ha sottovalutato la situazione. Adesso purtroppo si scopre che i gufi avevano ragione, anzi che non si trattava di gufi bensì di persone realiste.
A questa diminuzione della produzione industriale quale situazione corrisponde per quanto riguarda il terziario?
Il nostro turismo è in ripresa, in quanto c’è un afflusso di maggiori visitatori in Italia a causa dei rischi in Medio Oriente. I servizi d’altra parte sono legati alla domanda di consumi, e a questo livello non c’è una flessione.
(Pietro Vernizzi)