“Il più grande pericolo per le persone non è mirare troppo in alto e non riuscire a raggiungere l’obiettivo, ma mirare troppo in basso e raggiungerlo”. All’ADR, azienda leader mondiale nel settore di produzione di assali per macchine agricole, hanno scelto una frase del celebre artista Michelangelo Buonarroti per sintetizzare il loro approccio al lavoro. La trovi appena apri il sito web ma poi capisci, quando incontri Flavio Radrizzani, imprenditore alla guida di un gruppo che oggi non ha confini, che non si tratta di una semplice operazione di marketing. Il lavoro e la concretezza del titolare, e della famiglia, sono la cifra di questa azienda che dagli anni ’50 a oggi è cresciuta e si è sviluppata grazie a impegno e intuizione di chi la dirige fino ad oggi che il gruppo conta 240 milioni di fatturato, 1.300 dipendenti e il 70% del mercato mondiale.
L’headquarter resta a Uboldo – in quello spazio di terra compreso tra Milano e Varese, dove tante piccole officine meccaniche sono diventate, prima, vere e proprie fabbriche, e poi gruppi multinazionali – ma l’azienda non ha confini grazie alle numerose ramificazioni che l’hanno portata ad avere stabilimenti produttivi anche in Cina, India e Brasile. In Europa, invece, è la Polonia, al momento, ad ospitare lo stabilimento più grande e di Polonia abbiamo parlato con Flavio Radrizzani e la figlia Giovanna che, insieme al fratello Daniele, segue direttamente lo stabilimento che si trova a circa 30 km dal confine con l’Ucraina.
Quando è cominciata la vostra attività in Polonia?
Molti anni fa. Già agli inizi degli anni ’70 ci siamo resi conto che l’Italia era un mercato interessantissimo per noi ma non sufficiente a soddisfare le nostre aspirazioni. Per crescere in modo significativo il nostro prodotto doveva essere venduto anche oltre confine e l’Europa era a due passi. Certo le cose erano molto diverse rispetto ad oggi: anzitutto c’erano i confini tra i paesi e poi c’era il Muro di Berlino. Viaggiavamo molto. Erano gli anni in cui ci si muoveva in lungo e in largo, in macchina, attraverso l’Europa, incontrando persone conoscendo luoghi e tradizioni. L’obiettivo era “vendere” e “far conoscere il nostro prodotto”. Tutto questo ci è servito dopo.
Dopo quando?
Quando abbiamo capito che fuori dall’Italia c’era un mondo che poteva essere per noi interessante non solo per vendere il nostro made in Italy ma anche per produrre. Dopo la caduta del Muro le opportunità all’Est erano allettanti ma occorreva scegliere bene. In quel frangente, l’esperienza fatta nei gli anni precedenti ci è stata di grande aiuto.
Perché la Polonia?
Perché è un territorio strategico, ottimo ponte tra Europa e Russia, interessante per attivare le relazioni commerciali con il blocco dell’ex URSS. Perché, tra i paesi dell’Est, è una sicurezza in fatto di conoscenza, competenza, serietà, disponibilità ad imparare. Perché la Polonia aveva, ed ha ancora, bisogno di lavoro e da subito ha attivato una serie di provvedimenti per attrarre investimenti esteri. Le autorità di governo hanno saputo, forse come nessun altro paese in Europa, sfruttare i fondi destinati dall’Unione Europea ai progetti di sviluppo dei territori e delle economie.
Parlando della vostra esperienza, come avete scelto il luogo dove instaurare il vostro stabilimento produttivo?
Abbiamo visitato attentamente il paese, esplorando tutte le zone. Il ragionamento fatto è stato quello di allontanarci il più possibile da Varsavia e dai centri urbani mediamente sviluppati. Volevamo un luogo “distante” dalla capitale perché avevamo bisogno di tanto personale e perché volevamo essere attrattivi per l’area in cui ci instauravamo. In Italia negli anni ’80, quando l’economia tirava, dovevamo confrontarci continuamente con il turn over del personale. Non volevamo trovarci nella stessa situazione anche lì.
Quindi?
Era il 1996, trovammo un’area a trenta chilometri dal confine con l’Ucraina che potremmo definire “depressa”, lì c’era già un piccolo stabilimento di rimorchi agricoli che fino ad allora aveva lavorato per la Russia. In quel posto decidemmo di costruire il nostro stabilimento che oggi si estende su una superficie totale di oltre 90.000 metri quadrati. Con gli anni è cresciuto e si è sviluppato così oggi una parte dello stabilimento è insediata in una delle cosiddette zone a tassazione agevolata.
Cosa significa?
Nella pratica, quando arrivammo noi, la misura prevedeva l’esenzione dalle imposte fino al raggiungimento del 50% del valore degli investimenti fatti. Oggi non è esattamente così. In Polonia stanno cambiando molte cose: i prossimi sei mesi saranno decisivi in materia di incentivi e politica a supporto dello sviluppo. Si vedrà. Certo è che le condizioni del mercato non sono più quelle degli anni ’90. In quegli anni la popolazione locale era in difficoltà: mancava il lavoro. Noi abbiamo dato impiego a tante famiglie. Lì abbiamo trovato persone capaci, in grado di apprendere in fretta, precise e affidabili. Il tutto ad un costo decisamente competitivo.
Prima di parlare del costo del lavoro parliamo delle risorse umane.
Lo stabilimento polacco di ADR oggi conta 500 dipendenti, più di quanti non ne abbia l’headquarter di Uboldo. Il 15% sono impiegati, il resto operai. Mancando l’indotto abbiamo portato all’interno tutto il processo produttivo con un’altissima integrazione verticale. Quando siamo arrivati in Polonia abbiamo portato squadre di nostri addetti italiani che hanno formato il personale locale. E’ stato un lavoro importante, lungo, ma non faticoso, perché la popolazione locale è rigorosa, si comporta secondo le indicazioni che vengono impartite e questo per un’azienda che voleva (e vuole tuttora) fare alti numeri è fondamentale. Abbiamo avuto squadre di nostri tecnici, funzionari e operai che sono partiti da Uboldo per avviare lo stabilimento e lì sono rimasti a lungo. Ma è accaduto anche il contrario. Abbiamo ottimi capisquadra e saldatori polacchi che sono venuti a lavorare nella sede italiana e ancora lavorano qui. Direi che il modello dell’integrazione a due vie ha perfettamente funzionato.
Come è organizzata la struttura?
Lo stabilimento in Polonia è costituito oggi al 100% da personale locale: Polacchi e Ucraini. Abbiamo dovuto rivolgerci anche oltre i confini del paese perché anche in Polonia comincia a scarseggiare la manodopera. I giovani del luogo tendono ad abbandonare la zona e a spostarsi a Varsavia e, oggi, offre condizioni salariali più allettanti. Per questa ragione abbiamo attivato un piano di adeguamento degli stipendi in modo che il personale sia motivato a restare. Si tratta di un processo progressivo che stiamo facendo insieme ai sindacati che incontriamo in modo costante ma con cui una volta all’anno discutiamo del tema degli aumenti salariali.. Con i sindacati parliamo noi direttamente, non c’è nessuna intermediazione.
Parliamo del personale tutto locale. Non è un rischio? Quanto conta la supervisione e come viene attuata?
La supervisione conta tantissimo. Per circa 20 anni il direttore generale è stato un italiano. Ora è andato in pensione e ha preso il suo posto un dirigente polacco molto preparato che era già in Adr da tempo. Ci fidiamo di lui e questo è l’importante. Il nostro rapporto con lui è costante e ovviamente non soltanto mediato da strumenti di comunicazione a distanza. Noi siamo lì una settimana al mese con mia figlia Giovanna e mio figlio Daniele. La presenza sul posto non ha solo la funzione di controllo ma anche quella di rafforzamento delle relazioni. Il personale là deve essere certo di avere interlocutori a cui riferirsi, interlocutori in grado di rendere possibile e fluido il loro lavoro. La testa resta qui in Italia: è a Uboldo l’ufficio acquisti così come quello progettazione. Siamo obbligati a fare così l’organizzazione non può che essere centralizzata anche se poi evidentemente ciascuno degli stabilimenti produttivi ha un perimetro di autonomia sufficiente a operare.
Al problema della distanza, si può in parte ovviare con i nuovi strumenti informatici. Quale è l’esperienza di ADR?
Il controllo diretto è indispensabile ma gli strumenti informatici lo sono altrettanto per assicurare il procedere quotidiano dell’attività aziendale. Abbiamo un sistema informatico centralizzato per i disegni e per gli acquisti con un sistema studiato e condiviso di codifica dei prodotti. Solo per farle alcuni esempi.
A distanza di 20 anni è soddisfacente l’esperienza in Polonia?
Assolutamente sì. Basti pensare che, con la crisi del 2008, e il blocco completo degli investimenti, questo stabilimento ha tenuto in piedi tutto il gruppo. Quando poi abbiamo cominciato non solo il costo del terreno per il capannone era irrisorio rispetto all’Italia ma lo era anche il costo del lavoro. E poi c’era molta flessibilità nei contratti e le politiche a favore degli investimenti esteri che rendevano il luogo molto attrattivo per realtà come ADR.
E ora, sono cambiate le cose?
Beh certamente lo scenario è mutato profondamente. ll livello dei salari è cresciuto e dunque ci dobbiamo adeguare, i giovani sono molto più disposti e interessati a spostarsi dal luogo di nascita, e c’è molta meno flessibilità in materia di lavoro rispetto al passato. La domanda di assali non manca anzi. Facciamo però fatica, con queste risorse, a “stare dietro” agli ordini. Lo stabilimento è al massimo della sua capacità: abbiamo 250 macchine utensili tra presse, centri di lavoro laser, tutte in funzione. C’è molto lavoro e non riusciamo più a soddisfare la richiesta al punto che alcuni ordini presi li rimpatriamo. Per questo stiamo pensando di aprire un nuovo stabilimento, più piccolo, che possa assorbire più facilmente i picchi di lavoro. C’è una zona della Polonia che potrebbe essere adatta al nostro nuovo progetto. Stiamo guardando comunque anche in altri paesi come Bielorussia e Ucraina ma anche Serbia. Vedremo.
La Polonia è il quinto mercato di sbocco dell’offerta italiana di macchine utensili, dunque un mercato interessante. Cosa suggerirebbe a un imprenditore che sta pensando di aprire uno stabilimento produttivo lì?
Direi di non pensare alla Polonia come a un mercato interessante. La Polonia è molto di più. E’ un Paese ponte con l’area a est dell’Europa e con questo non penso solo alla Russia. Varsavia è collegata a Pechino da una linea ferroviaria che assicura il trasporto merci in due settimane. Già questo dovrebbe dare la dimensione delle potenzialità di un paese che è vera porta tra est e ovest.
Mi racconta di un errore che non rifarebbe?
Mah non saprei. Forse non mi affiderei più al sistema bancario polacco che scoprii solo dopo essere molto burocratizzato. L’esperienza è stata nettamente migliore con le banche italiane. Ottimo anche il servizio offerto da SIMEST.