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Home » Impresa » AZIENDA ITALIA/ Carboniero: “Competitività e occupazione: un errore archiviare Industria 4.0”

  • Impresa

AZIENDA ITALIA/ Carboniero: “Competitività e occupazione: un errore archiviare Industria 4.0”

Int. Massimo Carboniero
Pubblicato 25 Agosto 2018
Carboniero_Meeting18

Massimo Carboniero (il primo da destra) ieri al Meeting

Se il nuovo governo deciderà di ignorare i risultati positivi di Industria 4.0, il sistema-Paese correrà dei rischi, ha detto a Rimini il presidente Ucimu MASSIMO CARBONIERO

“Se il governo precedente ha posto in essere politiche che hanno dato risultati, il nuovo esecutivo commetterebbe un errore se ignorasse o addirittura decidesse di cancellare pregiudizialmente esperienze positive di politica industriale”. Massimo Carboniero, presidente dell’Ucimu, conversa con Il Sussidiario.net al termine dell’incontro su “Innovazione e Industria 4.0” nel fitto calendario di Mesharea, al Meeting 2018. Il leader dei produttori italiani di macchine utensili è tutt’altro che negativo sui trend 2018 del settore in Italia, quinto mercato interno al mondo e terzo esportatore globale: “Ci muoviamo sui ritmi dell’anno precedente, quando la produzione ha superato i 6 miliardi con un progresso vicino al 10%”.


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Anche quest’anno è in azione la spinta di Industria 4.0: cosa accadrà se la legge di Bilancio non confermerà gli incentivi?

Già all’assemblea Ucimu di luglio abbiamo invitato il nuovo governo a esaminare a fondo gli sviluppi di Industria 4.0 e siamo stati confortati nel sentire, pochi giorni dopo, il ministro Tria parlare in termini positivi del piano nazionale per la digitalizzazione industriale. La creazione di valore del piano certamente è visibile nei conti delle aziende del settore, ma anche e soprattutto in termini di occupazione e investimenti nel più ampio settore manifatturiero. L’azione di politica industriale era volta soprattutto a stimolare l’intero “secondario” italiano, che non può permettersi di voltarsi dall’altra parte di fronte alla sfida competitiva globale portata da Industria 4.0. E sbaglia chi pensa che archiviare anticipatamente il piano si riduca a togliere agevolazioni fiscali agli imprenditori in un gioco di breve periodo. Nei fatti sacrificherebbe investimenti, occupazione e capacità di innovazione, e quindi allargherebbe il gap di produttività di cui l’Azienda-Italia soffre in termini ormai strutturali.


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Una recente indagine promossa da Ucimu segnala che a iperammortamenti e superammortamenti ha finora fatto ricorso il 46% delle aziende italiane.

È un dato che va letto con attenzione. Da un lato, la risposta è certamente importante e soddisfacente. Dall’altro, sono evidenti anche gli spazi di ulteriore crescita di “Industria 4.0” in Italia. Anche perché altri indicatori preliminari smentiscono in maniera netta il principale argomento di opposizione politico-economica: la presunzione che la digitalizzazione distrugga posti di lavoro. Sta emergendo esattamente il contrario. Come in Ucimu abbiamo sempre sostenuto, gli investimenti in tecnologie avanzate creano occupazione, inventano posti di lavoro a più alto contenuto. Sono invece le imprese riluttanti ad abbracciare la logica di Industria 4.0 che corrono il rischio di non mantenere la propria base occupazionale, rallentando nell’innovazione e nella ricerca dell’efficienza. Il legame problematico fra Industria 4.0 e occupazione è semmai un altro: paradossale ai limiti dell’assurdo nell’Italia del 2018.


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Quale?

Il successo di Industria 4.0 è confermato dalla domanda di figure professionali di profilo adeguato, che la scuola e il mercato del lavoro non riescono a offrire. Potrei citare un lunghissimo elenco di imprese – fra cui la mia e molte altre associate Ucimu – che assumerebbero subito periti industriali o meglio ancora “super-periti”, cioè tecnici di produzione davvero in grado di gestire sistemi in cui le macchine dialogano fra loro o in cui cicli produttivi e manutenzione vengono ormai controllati a migliaia di chilometri di distanza. L’Azienda-Italia ha necessità immediata di migliaia di “meccatronici”, che non trova perché nessuno li forma. E secondo me è un dramma in un Paese che ha il 33% di giovani disoccupati. Anche per questa ragione mi chiedo se il governo possa permettersi a cuor leggero di fermare un volàno che sta raggiungendo i pieni giri, che sta cominciando a creare numeri veri in campo occupazionale.


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Come può essere vinta la nuova sfida della formazione?

La via sperimentata dal 2010 dagli Istituti tecnici superiori va percorsa con molta decisione. La prima potenza industriale della Ue – le Germania – ragiona nell’ordine di grandezza di 800mila giovani formati o riformati presso strutture avanzate di education professionale, fasate con le esigenze dell’industria in rapida trasformazione. Il secondo sistema manifatturiero europeo – l’Italia – ha un canale di rifornimento di risorse professionali confrontabili cento volte più piccolo. Non mi sembra il caso di aggiungere altro, se non che Industria 4.0 è stata dotata anche di un drive agevolativo sul terreno della formazione: contiamo di non veder troncata sul nascere anche un’esperienza di cambiamento ampio e di lungo periodo nel sistema-Paese.


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