Inchiesta urbanistica Milano, perché il Riesame smonta l'impianto accusatorio: "Dai pm una tesi svilente, non c'è alcuna prova di corruzione"
INCHIESTA URBANISTICA MILANO, RIESAME “ASFALTA” I PM
L’inchiesta urbanistica Milano, in cui è coinvolto anche il sindaco Beppe Sala, non ha dimostrato alcun patto corruttivo: a smontare l’impianto accusatorio è il Tribunale del Riesame, che ha mosso dure critiche a gip e procura, motivando il suo stop alle misure cautelari con una bocciatura pesante.
I pagamenti erano compensi regolari, non sono emerse prove di corruzione, quindi è stato costruito un castello di supposizioni che non potevano giustificare le misure cautelari, che infatti sono state annullate nei confronti dell’architetto Alessandro Scandurra e del costruttore Andrea Bezzicheri.
Secondo il Riesame, il gip ha fatto una ricostruzione congetturale, riprendendo in maniera acritica le tesi dell’accusa, senza verificare davvero le prove. Come riportato dal Dubbio, i ragionamenti sono definiti «apodittici», con una «semplificazione argomentativa svilente».
Ma per configurare una corruzione non è sufficiente che ci sia un pagamento a un pubblico ufficiale: bisogna dimostrare l’esistenza di un vero accordo illecito, in cui il denaro sia lo scambio per un atto contrario ai doveri d’ufficio.
LA QUESTIONE DELLA COMMISSIONE PAESAGGIO
Nel caso di Scandurra, ad esempio, i giudici non hanno trovato alcuna prova che i compensi professionali ricevuti fossero legati a un patto corruttivo. L’accusa sosteneva che Scandurra avrebbe favorito alcuni imprenditori non astenendosi in situazioni di conflitto di interesse.
Per il gip, la sua presenza avrebbe «orientato» le decisioni della Commissione, ma il Riesame ha osservato che i membri erano undici: dunque non è dimostrato alcun condizionamento, né sono state provate pressioni o manovre indebite. Le chat e le presunte prove agli atti, inoltre, non confermano nulla.
D’altra parte, per il Riesame è irrealistico pensare che l’intera Commissione seguisse Scandurra ciecamente, come se fosse un «centro di potere intriso di corruzione»; e, se così fosse, tutti i commissari avrebbero dovuto essere indagati, non solo lui. Inoltre, il regolamento sul conflitto di interessi era poco chiaro e in evoluzione, quindi non era nemmeno evidente che Scandurra avesse violato un obbligo preciso.
I COMPENSI PROFESSIONALI
Per quanto riguarda i compensi professionali, il gip ha giudicato «indebite» le remunerazioni di Scandurra solo perché coincidenti con la sua funzione pubblica; ma, per il Riesame, non c’è traccia di fatture false o sovrafatturazioni. Lo stesso Tribunale ha parlato anche di un «quadro fattuale confuso», rimarcando che, per dimostrare la corruzione, servirebbero riscontri chiari di un patto illecito, che in questo caso non ci sono.