INCIDENTE SERIANNI/ “Roma, una città che uccide: perché continuiamo a sprofondare?”

- Monica Mondo

Investito mentre attraversava le strisce pedonali il professor Luca Serianni: è successo a Roma, città del degrado e del menefreghismo

atac Immagine di repertorio (LaPresse, 2021)

Questa è una città cattiva. Roma, la capitale d’Italia, è diventata il collettore di rabbia, tensioni, depressioni, follie, prostrazione. Dicono la città più bella del mondo, ed è vero. Imparagonabile con le altre capitali europee. Più ricca di storia, arte, cultura, umanità, colori. Eppure, l’umanità se la stanno portando via i giorni persi nel traffico, la lordura dei quartieri, ancora più sozzi in questo caldo infernale, l’indifferenza, il cinismo, la corruzione d’animo, prima ancora che materiale, di chi la governa, e sa che comunque vada, passerà la mano, per scaricare su altri i problemi irrisolti.

Tanto vale non risolverli, e magnà finché si può, mentre l’immondizia deborda, i cinghiali pascolano e mordono, ferini, i topi ghignano, i mafiosi si sollazzano. 

La bassezza del dibattito politico di questo tempo ben s’addice a questa Roma così staccata dal resto del Paese, e così lontana anche dalla sua gente, legata ormai solo più a uno straccio di stipendio, che cambierebbe volentieri per mete più vivibili.

In questa Roma si può morire attraversando la strada, com’è successo oggi ad Ostia, quartiere di Roma, una città accanto a una megalopoli, al professor Luca Serianni, insigne linguista, vicepresidente della Società Dante Alighieri, maestro amatissimo, animo gentile, mite, appassionato del nostro “bel sì” che ancora potrebbe suonare se la lingua accompagnasse mente e cuore, e non servisse solo per sbrodolare sui social o sproloquiare in gergo animalesco.

Luca Serianni attraversava la strada, e sarà il caldo, o la stanchezza, o la svagatezza, o un maledetto telefonino, che ha spinto una signora a tagliargli la strada, a rovinargli e rovinarsi la vita.

Capita dappertutto, ma a Roma un incidente così suona ancor più sinistro. Non c’è più spazio neppure per la genialità e la bellezza, la sapienza, in questa città deforme. Chi può, scappi o rovesci le carte per trasformarla (senza inneggiare a venti che dovevano cambiare, e non sono cambiati che in peggio. E cambiano in peggio ululando tutto il Paese, non solo la sua capitale).

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