Herzog promette che Israele non caccerà i cristiani da Gaza. Ma il Papa chiede due stati e la permanenza dei palestinesi, che continuano a essere sfollati
Il presidente di Israele Isaac Herzog ha parlato di pace, di rispetto di tutte le religioni, assicurando la permanenza della comunità cattolica a Gaza. Ma questa garanzia al Papa non può bastare. E infatti Leone XIV, durante l’incontro con il Capo di Stato israeliano, ha chiesto un futuro per Gaza, ribadendo la necessità di realizzare due Stati per dare al popolo israeliano e a quello palestinese la possibilità di vivere in pace.
Peccato che proprio nelle stesse ore, spiega Filippo Landi, già corrispondente RAI a Gerusalemme e inviato del Tg1 Esteri, Netanyahu si opponeva a ogni cessate il fuoco, ribadendo la linea che porta allo svuotamento della Striscia della sua popolazione. Solo l’esercito, in questo momento, ha fatto presente quanto sia pericolosa l’occupazione di Gaza, soprattutto per i soldati che rischieranno di essere bersaglio della guerriglia, ma l’esecutivo vuole andare avanti su questa strada, pronto a fermarsi solo se Hamas si arrenderà.
Ieri il Papa ha incontrato il presidente israeliano Herzog. Come ci si è arrivati?
Le fonti sono univoche nel dire che il governo israeliano ha sollecitato il presidente Herzog a chiedere un incontro con Papa Leone XIV, probabilmente grazie all’intervento del patriarca di Gerusalemme, il cardinal Pizzaballa. Credo che Herzog non sia arrivato a mani vuote, assicurando la permanenza della comunità cristiana latina a Gaza, di cui l’IDF aveva chiesto l’evacuazione. La Santa Sede sostiene la decisione dei cristiani della parrocchia latina di rimanere dove sono e di fronte a questa affermazione il presidente israeliano ha garantito la sicurezza dei cristiani.
Qual è la posizione del Vaticano sulla situazione in Palestina?
L’incontro è stato preceduto da un editoriale su Vatican News che sembra ispirato dalla Segreteria di Stato, in cui è stato detto in modo chiaro che il futuro di Gaza non può passare attraverso il suo spopolamento. Un’affermazione importante, probabilmente ripetuta da Parolin nell’incontro che ha avuto con Herzog, successivo a quello con il Papa.
Deve essere chiaro ai governanti israeliani, non solo al presidente, ma anche a Netanyahu, che la Chiesa non può accettare un futuro di Gaza nel quale è garantita la permanenza dei cristiani prevedendo lo spopolamento della stragrande maggioranza dei suoi abitanti che sono di fede musulmana. Di certo l’incontro, dal punto di vista vaticano, non si poteva esaurire con la presa d’atto che i 500 cristiani non verranno cacciati con la forza, un esito del tutto insufficiente per l’immagine della Chiesa cattolica nel Medio oriente e nel mondo islamico in genere.
Come immagina, quindi, la Santa Sede il futuro di Gaza?
La soluzione della questione palestinese per la Santa Sede rimane quella di due popoli e due Stati. Una posizione importante perché si scontra con quella parte dello Stato israeliano che si trova nel governo Netanyahu secondo la quale non esiste più la possibilità di creare uno Stato palestinese né a Gaza, né in Cisgiordania.
Però il Papa nell’incontro con Herzog ha fatto riferimento anche alla Cisgiordania e a Gerusalemme. Se Israele vuole salvaguardare le comunità cristiane deve pensare anche a Taybeh, unico villaggio cristiano nella West Bank. Lo farà?
L’affermazione del Vaticano per cui bisogna andare verso la soluzione dei due popoli e due Stati va nettamente oltre la tutela della presenza cristiana a Gerusalemme, a Taybeh o a Betlemme.
C’è un punto però che rivela l’insufficienza dell’esito dell’incontro: di fronte alla ripetuta richiesta dell’ingresso di aiuti umanitari, Netanyahu, nelle stesse ore in cui Herzog incontrava Leone XIV, ha respinto l’ipotesi di un cessate il fuoco. Vuole la fine immediata della guerra, ma alle proprie condizioni, che sono ormai evidenti: non c’è più la possibilità di un accordo con Hamas, ma la richiesta che ci sia la resa e il suo disarmo.
Lo spopolamento che il Vaticano respinge in realtà non è già in atto?
Lo sfollamento della popolazione di Gaza continua con l’occupazione di aree sempre più vaste, che se non sono state già bombardate vengono minate e distrutte. Un segnale importante, che dimostra come ormai si va oltre il confronto militare con Hamas: la distruzione di interi blocchi della città, finora risparmiati dai bombardamenti, punta a spingere la gente verso sud, impedendo ogni ipotesi di rientro nelle vecchie abitazioni.
La situazione umanitaria, invece, com’è?
Ormai è precipitata: i morti si accatastano a decine, non ci sono più aiuti nel nord di Gaza e cresce il numero delle persone affamate. A queste evidenze credo che Herzog abbia opposto quello che dice l’ufficio stampa di Netanyahu e cioè che Israele non blocca gli aiuti: siamo su un pianeta propagandistico completamente dissociato dalla realtà.
L’operazione militare intanto continua, il governo israeliano resta convinto che sarà decisiva?
Di fronte al rifiuto di Israele di un cessate il fuoco, fonti dell’esercito israeliano girate ai media israeliani e quindi a quelli internazionali, ripetono che non è detto che questa guerra abbia prodotto la sconfitta di Hamas o che la produrrà. Il tasso di distruzione e di violenza che si chiede di compiere ai soldati è talmente alto che gli stessi militari temono conseguenze sul fronte giudiziario internazionale.
Rimane ancora il timore, espresso anche dal capo di stato maggiore a Netanyahu, che entrare a Gaza, occuparla e mantenere il controllo esponga i soldati israeliani a uno stillicidio di attacchi e di morti che rischia di proseguire nel tempo. L’unica possibilità per i militari di evitare un bagno di sangue è di distruggere totalmente Gaza e di spopolarla.
L’opposizione al nuovo attacco a Gaza può venire dall’interno dell’esercito?
Credo che la consapevolezza del baratro in cui si sta cacciando l’esercito israeliano sia percepita abbastanza chiaramente dai riservisti: le cifre ufficiali parlano di 365 disertori, a dimostrazione che il timore di finire nel pantano di Gaza è diffuso nella base. A livello di ufficiali, invece, penso che il percorso sia segnato, lo conferma la tipologia di attacco militare in corso, superiore a quello del passato come tasso di violenza e di sistematicità della distruzione.
(Paolo Rossetti)
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