Manovre tattiche in vista dell’incontro Trump-Putin. Il problema del presidente USA sta in Europa, che di fatto lavora contro la trattativa
“Mentre gli euroimbecilli cercano di ostacolare i tentativi americani di aiutare a risolvere il conflitto ucraino, il regime agonizzante di Bandera recluta in preda al panico sul fronte i più vili rifiuti dell’umanità”. A diro è stato ieri il vicesegretario del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev.
Mettiamo ora da parte la definizione dell’Ucraina come “regime di Bandera”. Medvedev è sempre molto esplicito nelle sue affermazioni, che, depurate degli insulti e interpretate nel giusto contesto – quello di rivolgersi a quella porzione di elettori russi che fortunatamente sono esclusi dalla guida del Cremlino – contengono tuttavia indicazioni utili.
Sono iniziate le manovre tattiche in vista del vertice Trump-Putin previsto in Alaska il prossimo 15 agosto e, come era prevedibile, al loro centro c’è il presidente ucraino Zelensky. Venerdì scorso era sembrato che Trump fosse disponibile a incontrare Putin solo se Putin avesse accettato a sua volta di incontrare Zelensky. Un caveat che è subito parso prematuro, e la conferma è arrivata dal Washington Post, che smentendo NBC ha riportato che il presidente ucraino non è stato invitato a prendere parte al vertice.
E il motivo è facilmente comprensibile: Zelensky ha chiesto di coinvolgere l’Unione Europea, che difende da sempre la sovranità ucraina sui territori occupati o annessi dalla Federazione Russa. E la dichiarazione ufficiale rilasciata dai leader europei in vista del vertice unisce istanze realistiche – come l’appoggio al tentativo di Trump – ad altre improntate alla ribadita continuità nel sostegno al regime di Kiev e nell’opposizione al regime russo, via supporto militare all’Ucraina e introduzione di nuove sanzioni.
Abbiamo fatto il punto della situazione con Marco Bertolini, generale della Brigata Folgore e comandante di numerose operazioni speciali in Libano, Somalia, Kosovo e Afghanistan.
Generale, ha letto la dichiarazione di Medvedev?
È sicuramente in atto un tentativo di ostacolare qualcosa che teoricamente sta nascendo. Che Trump abbia detto di finire la guerra in 24 ore o cento giorni, e finora sia stato smentito dai fatti, non toglie che stia cercando di trovare una soluzione a quella che ha sempre definito “la guerra di Biden”. In questo tentativo, fin dall’inizio del suo secondo mandato ha incontrato l’opposizione dell’Ucraina, come era in parte naturale che fosse, ma soprattutto quella di parte europea.
Cosa pensa di questo summit che dovrebbe svolgersi tra pochi giorni?
Innanzitutto, l’incontro Trump-Putin è la conferma che la guerra cui si tenta di trovare una soluzione è essenzialmente una guerra russo-americana – o viceversa. È iniziata come tale, e non nel 2022.
Vada avanti.
E adesso, guarda caso, sono russi e americani a tentare di trovare una soluzione. E lo fanno incontrando, di fatto, l’opposizione dell’Europa allargata.
Allargata a chi?
Alla Gran Bretagna, è evidente. Molto meno evidenti sono tutte le azioni intraprese dalla Gran Bretagna per boicottare la pace e alimentare il conflitto. La più macroscopica la conosciamo tutti: avere fatto saltare le trattative nel marzo del 2022.
Qual è il dato politico?
Il Regno Unito, pur essendo uscito dall’UE, continua a esercitare un potere di indirizzo indiscutibile sulla postura europea e sulle decisioni di Bruxelles nella guerra in Ucraina. Potrebbe avere adeguatamente “istruito” anche il possibile nuovo presidente ucraino, Valerii Zaluzhny, oggi ambasciatore a Londra.
Chi sono i registi?
Sono sempre gli stessi “volenterosi” che hanno distrutto il regime di Gheddafi e bombardato la Libia, per intenderci.
Cosa dovrebbe fare l’Unione Europea?
Abbandonare la Sindrome di Stoccolma dalla quale è afflitta dal 2022 a questa parte. L’Europa ha subìto una guerra che non era sua, ha pagato un prezzo esorbitante sul piano economico, vi ha investito tutto sul piano politico e culturale.
E adesso?
Se si tirasse indietro, dovrebbe ammettere la sconfitta. Nel momento in cui il pregiudicato Putin, colpito da un mandato di arresto spiccato dalla Corte penale internazionale, al quale Ursula von der Leyen voleva aggiungere un tribunale speciale appositamente istituito per processare i crimini russi, si trova in Alaska con Trump e parla di come mettere fine alla guerra, per l’Europa è una sconfitta secca.
E forse non è il tempo migliore per collezionare sconfitte.
No, appunto. L’UE è già in crisi, strattonata da approcci e interessi divergenti su tante questioni, a seconda dei Paesi che hanno più peso politico; per apparire vincente non le resta che opporsi alla soluzione della guerra in Ucraina. Medvedev usa toni duri, ma la situazione è esattamente questa.
Sembrava che Trump fosse disponibile a incontrare Putin solo se Putin avesse accettato di vedere Zelensky, ma il Cremlino ha detto no. Il problema-Zelensky potrebbe logorare il vertice ancora prima del suo inizio?
Che qualcuno stia cercando di lavorare il sabato prima dell’inizio, non c’è ombra di dubbio. Lo si fa in vari modi, ponendo condizioni, ipotizzando soluzioni che allo Stato sono soltanto virtuali, ad esempio la cessione di Zaporizhzhia e di Kherson da parte della Russia, oppure la restituzione di altri territori in cambio del Donetsk e del Luhansk.
La soluzione?
Di fronte a queste pressioni, sia da parte americana che da parte russa, ma soprattutto questa seconda, è tenere le carte coperte.
In concreto che cosa significa?
Trump non dirà nulla agli europei, dei quali non si fida. Ovviamente non parliamo dei russi.
Sotto le carte coperte ci sono le concessioni territoriali?
È inevitabile. Proprio perché sanno entrambi che la possibile soluzione incontrerà l’opposizione degli europei, tengono le carte coperte. Tutto questo, si badi, non vuol dire che arriveranno a una soluzione. L’incontro stesso potrebbe essere un buon risultato.
Dunque lei è pessimista?
Non necessariamente. Infatti bisogna considerare l’altro lato della medaglia. Non siamo davanti ad un incontro preparatorio, come quelli di Witkoff a Mosca, e neppure ad un incontro Lavrov-Rubio. Si incontrano i massimi leader, quindi una base c’è, ci deve essere. Ne va del rispettivo prestigio politico.
Trump non può escludere Zelensky. Tutti sanno che le paci unilaterali non durano. Come affronterà il problema?
Questo è il problema vero. Deve trovare una soluzione sapendo che non andrà bene a Zelensky, di conseguenza si tratterà di fargliela mandare giù in qualche maniera. L’Europa lo sa e intende approfittarne per tentare di entrare in partita.
Cosa farà Trump con gli europei da qui al summit?
Probabilmente ciò che ha fatto finora, ossia dire e smentirsi, in modo da non dare punti fermi ai suoi interlocutori.
Tra Putin e Trump, chi si siede al tavolo in posizione di maggior forza?
Hanno entrambi vantaggi diversi. Putin ha dalla sua il fatto che in Ucraina la Russia sta vincendo sul campo. Questo fatto allenta la spinta della NATO verso Est che è stata una delle cause scatenanti del conflitto. Trump, da parte sua, va al vertice con Putin forte dell’accordo di pace siglato alla Casa Bianca tra il presidente azero Aliyev e il premier armeno Pashinyan. Il Corridoio di Zangezur (che collega l’Azerbaijan alla exclave azera del Nakhchivan passando per l’Armenia, ndr) sarà oggetto degli investimenti e di fatto del controllo USA, tanto da essere ribattezzato “Trump Route for International Peace and Prosperity”.
C’è stato uno scambio?
Il Caucaso è area di interesse strategico russo per antonomasia, Mosca mantiene truppe in Armenia; l’Iran, alleato di Mosca, è fermamente contrario all’accordo. Tutto ciò autorizza a pensare che il Cremlino abbia dovuto fare buon viso ad un boccone indigesto, in vista di un interesse strategico di forza maggiore.
La firma della pace “trumpiana” tra Azerbaijan e Armenia è avvenuta sabato, un giorno dopo la comunicazione del vertice in Alaska.
Infatti. Potrebbe essere la prova che i conti tornano.
(Federico Ferraù)
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