Due giorni fa l’Istat ci ha comunicato che il Pil reale dell’Italia si è fermato nel quarto trimestre del 2022 dopo sette trimestri di continua crescita, una notizia non positiva ma in ogni caso migliore delle attese. Ieri, invece, ci ha comunicato, e questa è un’ottima notizia, che si è sostanzialmente fermata la corsa dei prezzi al consumo, dopo oltre un anno e mezzo di continua crescita che ci aveva posto di fronte a tassi di variazione a doppia cifra che non vedevamo dagli anni Ottanta.
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Infatti, secondo le stime preliminari, nel mese di gennaio 2023 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), che include i tabacchi, ha registrato un aumento sul mese precedente limitato allo 0,2%, mentre un anno fa, a causa principalmente dei beni energetici, la crescita fu dell’1,6%. Questo punto e mezzo di differenza ha avuto l’effetto di abbassare sensibilmente il tasso di crescita tendenziale dell’inflazione, quello calcolato sullo stesso mese dell’anno precedente, che si è ridotto in gennaio al 10,1% rispetto all’11,6% del mese precedente. Anche se non si è ancora tornati a un’inflazione a due cifre il calo è consistente e destinato a proseguire almeno per il prossimo bimestre, per il quale ci attendiamo una riduzione almeno all’8,5% nel mese di marzo.
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Ancora una volta a determinare la direzione dell’inflazione sono i beni energetici, in netto calo in gennaio nella loro componente regolamentata. Essa ha visto infatti una riduzione di quasi il 25% nel mese, per effetto delle decisioni del regolatore nazionale Arera, mentre nel gennaio dello scorso anno fu un incremento mensile addirittura del 44%. L’effetto congiunto di queste due cifre è stato quello di abbattere drasticamente il tasso tendenziale sul comparto, che è passato dal +70% dello scorso dicembre al -10,9% attuale, evidenziando in conseguenza come i beni di questo settore siano attualmente meno cari rispetto a dodici mesi fa.
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Al contrario dei regolamentati gli energetici liberi hanno visto un gradino ulteriore di crescita nel mese, lo 0,7%, principalmente per l’aumento del prezzo dei carburanti, i quali hanno visto la non riconferma della riduzione delle accise che era stata introdotta dal Governo precedente. Poiché tuttavia questo aumento è stato decisamente minore di quello di gennaio 2021, anche il loro tendenziale è diminuito, di quasi quattro punti, pur restando questi beni più cari di circa il 60% rispetto a un anno fa.
Mettendo assieme tutti gli energetici vediamo tuttavia che l’abbattimento sui regolamentati ha ridotto drasticamente anche il tendenziale complessivo, il quale è passato dal 63% di dicembre al 43% attuale.
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Se l’inflazione dell’energia si sta progressivamente sgonfiando non altrettanto può dirsi dell’inflazione da energia, quella prodotta sugli altri comparti dall’aumento dei costi energetici dei processi produttivi. Nel mese i comparti con gli incrementi congiunturali maggiori sono stati i servizi per l’abitazione con l’1,6%, gli alimentari lavorati con l’1,5%, i beni, durevoli e non, con lo 0,8% e gli alimentari non lavorati con lo 0,6%. Su base annua il tendenziale degli alimentari nel loro complesso, beni che fanno tutti parte del paniere abituale di spesa delle famiglie, si attenua lievemente, dal 12,8% al 12,4%, restando tuttavia elevato, mentre cresce il tendenziale dei beni non alimentari e non energetici, passando dal 5,2% al 5,3%, e quello dei servizi dal 4,1% al 4,2%.
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L'”inflazione di fondo”, che esclude i beni energetici e gli alimentari freschi, è salita a gennaio al 6% dal 5,8% del mese precedente, mentre quella al netto dei soli beni energetici è rimasta stabile al 6,2%. Infine, l’inflazione dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto è salita al 9,0% dall’8,5% precedente.
L’inflazione acquisita per il 2023, quella che si avrebbe se il livello dei prezzi restasse fermo per i restanti 11 mesi dell’anno, è pari al 5,3% per l’indice generale al consumo e al 3,2% per la sola componente di fondo.
Grafico 1 – Indice dei prezzi al consumo (variazioni % rispetto a gennaio 2021)
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