A luglio l'inflazione è salita dell'1,7%, ma l'aumento dei prezzi per il carrello della spesa è stato del 3,2%
I dati Istat definitivi sull’inflazione di luglio confermano la stima iniziale di un aumento tendenziale dell’1,7%. Di per sé un andamento non molto preoccupante. A colpire, però, è la crescita dei prezzi del cosiddetto “carrello della spesa”, la cui variazione su base annua è passata al 3,2% dal 2,8% di giugno.
Come ci spiega Giorgio Santambrogio, Amministratore delegato del Gruppo VéGé, è bene però «comprendere e interpretare correttamente il termine “carrello della spesa”. Tecnicamente si tratta di un indicatore riferito all’andamento dei prezzi di un paniere di beni di consumo ad alta frequenza di acquisto, come i beni alimentari, quelli per la pulizia e la manutenzione ordinaria della casa, quelli per l’igiene personale e i prodotti di bellezza. La sua denominazione, tuttavia, induce a pensare che rifletta esclusivamente ciò che avviene nei supermercati».
Con quali conseguenze?
Nel momento in cui si ha una differenza tra andamento dell’inflazione generale e del cosiddetto “carrello della spesa”, come nel caso di luglio o anche di giugno, si tende a leggere il fenomeno come frutto di dinamiche speculative da parte dei punti vendita della distribuzione moderna. Questa interpretazione è non solo fuorviante, ma sostanzialmente infondata.
Perché?
Anzitutto, va ricordato che la Grande distribuzione organizzata agisce come acquirente e mediatore tra l’industria e il consumatore finale e il suo margine operativo, già compresso, non consente logiche speculative strutturali. Per fare un esempio concreto, nel corso della sola stagione negoziale 2025, la distribuzione moderna ha ricevuto oltre 500 richieste di aumento prezzi da parte dell’industria di marca, che avrebbero determinato un impatto potenziale superiore al 7,5% sui prezzi finali al consumo.

Come mai questo impatto non c’è stato?
Grazie a un lavoro di negoziazione attenta e responsabile del nostro ufficio commerciale, questo impatto è stato notevolmente mitigato, riducendosi a una percentuale inferiore e dimostrando ancora una volta il ruolo del retail come fattore calmierante lungo la filiera.
A cosa si deve, quindi, attribuire il dato Istat relativo alla crescita del 2,8% dei prezzi dei beni alimentari, per l’igiene personale e la pulizia della casa, che poi troviamo sugli scaffali dei supermercati?
Sostanzialmente a un dato statistico: nel nostro settore purtroppo, anche quando il costo delle materie prime scende, i nostri fornitori non diminuiscono i listini, ossia i nostri prezzi di acquisto. Si limitano, in taluni casi, a proporre promo aggiuntive. Ecco, quindi, che non abbiamo il dato negativo di alcune categorie che compensa, come nel paniere principale dell’Istat, l’aumento di altre.
Quale pensa sarà l’andamento di questi prezzi nei prossimi mesi?
Le ultime rilevazioni mostrano un raffreddamento generalizzato dei prezzi delle materie prime alimentari, con effetti attesi a valle della filiera nei mesi a venire. Categorie sotto osservazione come caffè, cacao, riso, latte e derivati (incluso il gelato), salumi e prodotti lattiero-caseari stanno registrando una stabilizzazione o inizio di discesa. Ciò porterà – a partire da agosto – a un possibile calo effettivo dell’inflazione del carrello, dando finalmente avvio a una spirale virtuosa disinflazionistica nel segmento dei beni primari. Nel frattempo i consumatori hanno qualche strumento a disposizione per risparmiare.
Di che cosa si tratta?
Orientando i propri acquisti su prodotti a marca del distributore (MDD) e articoli in promozione, il livello medio del carrello potrebbe avvicinarsi alla neutralità inflattiva, con un impatto concreto sul potere d’acquisto. Un risultato reso possibile proprio grazie alle politiche di pricing e assortimento messe in campo dalla distribuzione moderna.
(Lorenzo Torrisi)
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