C’è il G8 a L’Aquila e che si mangia? Il tormentone va avanti da parecchi giorni e stamane metà dei quotidiani mette in prima pagina il menu in rosa, ma anche le preferenze di Michelle Obama, che ha scelto una trattoria per tuffarsi nelle fettuccine e poi in una gelateria del centro. A L’Aquila, intanto, il menu era quasi interamente di piatti tricolori (sic!). E dopo i fagottelli di Heinz Beck che hanno rivisitato la carbonara per le consorti dei capi di Stato ospiti di Alemanno, domani si parlerà della cucina di Niko Romito, chef abruzzese di Rivisondoli. Ma intanto il computer è farcito di comunicati di questa o quell’azienda vitivinicola che è riuscita a mettere il suo vino al G8 (almeno otto le cantine, con l’omaggio dell’Amarone di Giancarlo Aneri, in bottiglie siglate con le iniziali degli 8 “grandi”). Che dire? A far la rassegna stampa stamattina viene l’acquolina in bocca, e un po’ stride la preferenza della “prima” sulle pagine interne che parlano di Africa e fame nel mondo. Mi viene in mente quella vignetta di Guido Clericetti sui vertici Fao dove un delegato chiede all’altro: “C’è il buffet?”. Però c’è anche l’altra faccia della medaglia: ossia il primato della cucina italiana che rimane comunque un’attrattiva, una curiosità, fors’anche un’aspettativa per chi viene – qualsiasi rimanga la forma o il motivo – in Italia. Sono lontani – per fortuna – i tempi dei governi tristi che sceglievano svogliatamente un catering, quasi fosse peccaminoso parlare e presentare un qualcosa che poi viene imitato e ostentato in tutto il mondo. Però su tutto, forse, c’è una misura: quella dei giornali di oggi è una macedonia di vini, astici e problemi epocali; quella di domani – chissà – potrebbe essere l’occasione (ma ci avranno pensato), per parlare della radice della cucina italiana, ossia la fame, che ha sprigionato una straordinaria creatività su materie prime semplici. Un po’ meno astici signori!