Io ringrazio vivamente Antonio Socci per il suo affondo su Libero dell’altro ieri riferito al consumismo; lo ringrazio perché va all’essenziale delle cose, soprattutto delle feste di fine anno che hanno il potere di evocare, anche se in modo timido, anche se velato o occultato, il significato della nostra esistenza sulla terra. Che si riconosce più facilmente nel dono, o in quello che l’amico scrittore americano Tony Hendra definisce il “grande pacco dono” che vive dentro a un ordine. Ora, dal mio punto di osservazione, il cibo e il vino fanno parte di questa cifra che ci descrive. E sono un indicatore di quella partecipazione alla vita che 2000 anni fa è diventata esplicita, avendoci messo accanto una compagnia umana, dove tutto, anche il mangiare e il bere, anche un tratto di strada insieme, anche un giglio nel campo, non erano lasciati al caso.
Ecco, la faccenda è proprio il giglio, di cui davvero non ci si accorge più. Ed è un peccato. Uso questa immagine per dire che la tavola imbandita secondo il modello anacronistico del cenone da fine della guerra, molto spesso è un’occasione persa. E lo dico io che mangio leccornie tutto l’anno, perché di mestiere faccio il critico dei ristoranti e dei vini. Sul blog del mio libro per la famiglia Adesso, quest’anno, i commenti che sono arrivati, a sorpresa, sono tutti riferiti al disagio del mangiare tanto, che i soliti giornali traducono nello stress da festeggiamenti (ma non è un paradosso ?), mentre i tg fanno vedere quelle immagini da trattoria dell’abbondanza che perlomeno andrebbero cambiate.
Se poi guardiamo le pubblicità sui giornali, leggeremo la stupidità dei menu di Capodanno con venti e più portate. E allora ? Ma fare festa è solo rispondere a una forma, che è quella di mangiare tanto ? La verità è che si vuole ancora salvare la forma rispetto alla sostanza, dove la forma è dare da mangiare tanto (la qualità qui spesso non c’entra), mentre la sostanza è chi hai di fianco a te e come vivi con lui un momento di partecipazione alla vita. E se hai dei ragazzi o dei bambini, oppure degli anziani, sei così certo che stare a tavola per ore sia la cosa più divertente di questo mondo ? E se chi è invitato a casa tua ha maturato le patologie di questo secolo, molte delle quali legate all’alimentazione, non sarà una sofferenza vedersi servire un esercito di portate ?
Sono solo due esempi, che mi portano ad un suggerimento: il pranzo di Natale salvi il gusto, anche a dispetto di un’ostentata quantità. Si metta in tavola (alla francese) ciò che si vuole offrire e ognuno si servirà di ciò che apprezza, uccidendo i tempi del servizio (alla russa) con la scansione delle varie portate fino al dolce. E poi si celebri con un piatto di sostanza, prima dei dolci. Anche perché è brutto arrivare a fine pranzo e dover rinunciare al cappone ripieno perché non ce la si fa più. Basta togliere un piatto, e farlo ritornare alla sua origine: la pasta ripiena con gli avanzi, madre di tutte le paste ripiene italiane. E poi, col tempo che avremo tolto alla tavola, ritorniamo a cantare, a giocare, ad ascoltare la musica. Anche il cibo e il vino, serviti nella misura adeguata, saranno di quella natura. Saranno Bellezza.