Con l’operazione a Gaza Netanyahu vuole il controllo totale della Striscia. Per mettervi un governatore che piace a USA e Israele

L’operazione a Gaza ha un obiettivo più politico che militare. L’IDF è da tempo in diversi quadranti della città e l’arrivo dei soldati, oltre che per occupare tutto il territorio, serve per affermare il controllo sull’area, stabilizzando una presenza che era già assicurata.

Israele, spiega Bernard Selwan Khoury, direttore italo-libanese del Centro studi sul mondo arabo “Cosmo”, si propone come forza per stabilizzare il Medio Oriente, ma per far questo, come dimostrano l’inizio dell’operazione militare a Gaza e l’approvazione del progetto che divide in due la West Bank, chiede di espandere i suoi territori, prendendosi la Striscia e la Cisgiordania.



Contemporaneamente si lavora anche su un altro fronte: visto che l’espulsione dei palestinesi, almeno nella loro totalità, è impraticabile, la ricostruzione di Gaza potrebbe essere gestita da un governatore momentaneo, capace di offrire garanzie a USA e Israele. Si tratterebbe di Samir Halilah, imprenditore che fa parte dell’ANP. La fase successiva sarebbe quella di consegnare la Striscia a una nuova Autorità Palestinese.



Israele non chiude del tutto la porta a una trattativa, ma di fatto inizia a invadere Gaza City. Qual è il vero obiettivo?

L’obiettivo non è solo di accerchiare Gaza o comunque di condurre delle operazioni all’interno della città. A differenza di quanto è accaduto negli ultimi mesi, si punta ad assumere il controllo totale della città. Un obiettivo che ha più una valenza politica e simbolica che militare: poter affermare di avere il controllo totale della situazione.

I movimenti degli israeliani ci raccontano qualcosa dei risultati che vogliono ottenere?

Gaza non potrà più essere governata da Hamas e questa è l’ultima fase prima dell’insediamento di una forma di potere insediata con il benestare degli USA e di Israele. Il controllo di Gaza non significa solo far rimanere i soldati, ma gettare le basi per un cambio di potere effettivo, con un’autorità in grado di rispondere in maniera puntuale alle richieste di americani e israeliani. L’annuncio dell’operazione per il controllo di Gaza ha fatto rumore dal punto di vista giornalistico, anche se in realtà le IDF già operavano nell’area: sono mesi che controllano parti di quadranti della città. A est di Gaza City c’è l’area di Shujayya, in cui operano da tempo; a nord-est Daraj e Tuffah, dove la presenza degli israeliani è datata. Lo stesso vale per il nord. Mancherebbe la parte sud-est. Ecco perché l’annuncio ha un valore più politico: l’esercito stava lì da settimane, ora vi si stabilirà.



Questo vuol dire che, almeno nelle parti che non controllano ancora, gli israeliani andranno a stanare uno per uno i miliziani di Hamas?

Palestinesi tentano di sfuggire alle bombe israeliane ad Al Nusairat, Gaza (Ansa)

A Gaza, dopo l’ultimo cessate il fuoco, sono tornate un milione di persone, ed è il motivo per cui la comunità internazionale sta esprimendo delle preoccupazioni sull’intervento militare. L’operazione servirà anche a stanare miliziani e quadri di Hamas rimasti, ma non è questo l’obiettivo principale, perché le IDF controllano di fatto già il 75% circa del territorio di tutta la Striscia.

Intanto si fa anche il nome di un possibile nuovo governatore di Gaza, il palestinese Samir Halilah: potrebbe toccare a lui la gestione dell’immediato futuro della Striscia?

La scelta deve ricadere su una persona capace di dialogare con gli israeliani e quindi con gli statunitensi. Halilah ha svolto dei ruoli politici anche in Cisgiordania, all’interno dell’Autorità Palestinese, ma quello che ha fatto la differenza per lui sono state le relazioni che è riuscito a tessere in questi ultimi anni, in particolare con gli Stati Uniti. Sostanzialmente è un uomo d’affari, la cui prima qualità, appunto, è stata quella di investire sui contatti con l’amministrazione americana e con gli israeliani. Potrebbe essere un governatore pro tempore.

Se governerà per un certo periodo, vorrà dire che gli israeliani sanno che difficilmente riusciranno ad allontanare i palestinesi?

Il problema è che nessun Paese arabo può sopportare l’arrivo incontrollato di rifugiati palestinesi: potrebbero diventare una minaccia per la sicurezza nazionale. Nessuno vuole assumersi questo rischio, quindi bisognerà adottare una politica di reinsediamento e di ricostruzione.

C’è già un’idea di quello che succederà dopo questa fase transitoria?

Qui il ruolo dei Paesi arabi sarà determinante. Dovranno essere loro, indirettamente, a garantire chi andrà a governare. Al governatore pro tempore potrebbe succedere una nuova ANP, un’autorità unica per Gaza e Cisgiordania, mentre finora da una parte governava Hamas, dall’altra l’Autorità Nazionale Palestinese. I soldi, però, facilitano i processi di unificazione: se dai Paesi del Golfo pioveranno finanziamenti, tutto sarà più facile.

Le dichiarazioni di Netanyahu e del ministro Katz (“Occuperemo Gaza”) e le operazioni portate avanti negli ultimi mesi in Cisgiordania fanno pensare a un’annessione dei territori a Israele. Tutto questo non si scontra con l’idea di un governo temporaneo e poi di una nuova gestione palestinese?

Con il cambio di amministrazione a Washington, quindi con la maggiore apertura da parte di Trump nei confronti di Netanyahu, Tel Aviv ha cercato di rafforzare la percezione di essere l’unica democrazia in Medio Oriente, sinonimo di stabilità nella regione. È come se dicesse alla comunità occidentale: “Se volete una vera stabilità in Medio Oriente dovete passare tramite noi, che possiamo garantirla”. Ma vogliono assicurarla con un’espansione territoriale: anche il progetto E1, che divide in due la Cisgiordania, è funzionale a questo piano. Questa ipotesi e quella di un governatore che gestisca una fase di transizione vengono portate avanti entrambe.

La dichiarazione dell’ONU che a Gaza c’è la carestia può cambiare la situazione? La comunità internazionale potrà muoversi con più decisione?

Negli ultimi mesi l’ONU ha prodotto moltissimi appelli per Gaza, basati su dati reali, ma non è riuscito a tradurre in pratica questa pressione, se non quando si è mossa l’amministrazione di Washington. Dipenderà tutto dalla posizione degli americani.

(Paolo Rossetti)

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