Uno dei capitoli più oscuri del terrorismo europeo è chiuso dal punto di vista legale: i responsabili degli attentati di Bruxelles del 22 marzo 2016, in cui sono morte 32 persone, sono stati condannati per omicidio terroristico. Ma le lezioni che si possono trarre da questa tragedia restano controverse. Le cose non sono cambiate a Molenbeek, quartiere diventato tristemente famoso in tutto il mondo in seguito agli attentati terroristici. Due terzi dei 100mila abitanti sono musulmani e la maggior parte di loro vive attorno al centro storico. Qui si concentrano i conflitti sociali. Stando a quanto riportato dal giornale tedesco Süddeutsche Zeitung, dai sondaggi è emerso che la grande maggioranza dei musulmani si sente discriminata, non accettata come belga e non accettata all’interno della comunità musulmana. La maggioranza ritiene che gli attacchi islamisti non abbiano assolutamente nulla a che fare con questa religione, anzi Molenbeek ha bisogno di una maggiore influenza religiosa.
Eppure una cosa non manca di certo a Molenbeek: le moschee e uno stile di vita strettamente musulmano. Qualche mese fa una donna musulmana che porta il velo è stata nominata per la prima volta ad una posizione politica di rilievo nel municipio di Molenbeek. La sua nomina è stata accompagnata da una grande polemica politica in tutto il Belgio: le donne che indossano il velo possano lavorare nelle autorità municipali di Molenbeek e di altri quartieri islamici di Bruxelles? Chi si oppone sostiene che così lo Stato abbandonerebbe la sua neutralità su questioni ideologiche e condonerebbe l’oppressione delle donne. D’altra parte, c’è chi ritiene che il divieto discrimini la minoranza musulmana e in molti casi è l’unico modo per trovare lavoro alle donne musulmane. Si sta delineando ora un compromesso: il velo sarà consentito se chi lo indossa non ricopre una posizione dirigenziale nell’autorità e non riceve visite. Una soluzione pragmatica? Non per l’attivista per i diritti delle donne e autrice Djemila Benhabib.
“BELGIO NON HA CONTROLLO SULL’INSEGNAMENTO DELL’ISLAM NELLE SCUOLE”
«L’iniziativa del velo è un tentativo dei partiti di sinistra di raccogliere voti dalla comunità musulmana in vista delle elezioni del giugno 2024, e fondamentalmente un segno della strisciante capitolazione delle democrazie liberali in Europa di fronte alla pretesa di potere dell’Islam politico». L’attivista 51enne si batte per un Islam che viva in armonia con i valori liberali occidentali. Quello di Djemila Benhabib è un caso particolare, perché è fuggita dal terrore jihadista dall’Algeria a metà degli anni Novanta, emigrando in Québec, in Canada, dove si è battuta contro il principio dell’accomodamento ragionevole dello Stato nei confronti della minoranza islamica. Ma per questo le organizzazioni islamiste e la sinistra identitaria l’hanno accusata di “islamofobia“. Ora si trova a Bruxelles perché nella capitale del Belgio ed europea si sta consumando la battaglia decisiva tra islamismo e democrazie di tipo occidentale.
L’islamismo si sta diffondendo silenziosamente in tutto il Belgio, ben finanziato dall’estero, racconta Djemila Benhabib. Inoltre, riferisce di insegnanti musulmani laici che vengono molestati dai fondamentalisti e denuncia uno Stato, quello belga, che non ha alcun controllo sull’insegnamento dell’Islam nelle scuole. Quando le viene chiesto se non sia esagerando nella sua lotta contro il velo, l’attivista precisa di non avere nulla di personale contro queste donne, ma di essere stata plasmata dalla sua storia. I problemi dell’Algeria sono cominciati quando le giovani donne come lei sono state minacciate se non avessero indossato il velo. «Solo quando le donne otterranno la loro libertà, l’Islam potrà sentirsi a casa in Europa», sostiene Djemila Benhabib.