È stato decisamente sottovalutato dai media italiani il caso estremamente grave dell’annullamento del ballottaggio per il voto presidenziale in Romania, a solo due giorni dal voto, per presunte interferenze russe. Questo dopo che al primo turno era stato escluso il premier in carica Marcel Ciolaco a vantaggio di una candidata di centro-destra filoeuropea, Elena Lasconi, e del candidato indipendente Calin Georgescu, che non aveva nascosto il suo scetticismo sulla guerra in Ucraina e manifestato simpatie per la Russia di Putin.
L’episodio ha in sé molti elementi sospetti vista la composizione tutta politica della Corte Costituzionale e crea comunque un pericoloso precedente, visto che è la prima volta che un voto popolare viene annullato senza appello all’interno della UE.
Più in generale si pone il problema non solo del “chi controlla chi”, ma soprattutto come si possa verificare la più o meno presunta interferenza esterna su un voto, soprattutto quando i risultati erano stati (come nel caso romeno) comunque abbastanza netti, ma andando contro i desideri del governo in carica. Ogni campagna elettorale è per definizione e da sempre sinonimo di interferenza sul voto, nel senso che ogni candidato cerca di mettersi in luce positiva per farsi votare e viene supportato da chi ritiene di avere un vantaggio politico (oltre che spesso anche economico) da una sua vittoria.
Il problema è quindi indicare bene le regole – e soprattutto pubblicarle prima del voto – per stabilire dove finisca l’appoggio corretto e inizi un condizionamento elettorale interno od esterno, che è facilitato quasi sempre dal controllo dei media.
Nell’attuale fase politica per i governi occidentali Putin è il nemico numero uno e quindi – come nel caso romeno – a lui si imputa ogni nefandezza, ma il discorso è molto più ampio, con il rischio concreto di “contro-manipolazioni” elettorali.
Se Musk con i suoi milioni di dollari ha finanziato la pubblicità elettorale a favore di Trump e per questo è stato criticato, quanto ha contato l’appoggio di gran parte dei media americani alla sua avversaria Kamala Harris, elemento per cui non si è invece scandalizzato nessuno? Si parla in USA di centinaia di milioni di dollari, ben di più di mille volte (!) la somma di 381mila euro che i russi avrebbero versato a degli “influencer” romeni per spingere il candidato vincente.
Il condizionamento psicologico d’altronde può essere più o meno diretto e sottile, con messaggi più o meno corretti e non esiste mai un confine chiaro tra il lecito e l’illecito, soprattutto davanti alle nuove forme di comunicazione informative che hanno rivoluzionato la comunicazione commerciale, politica e anche elettorale; e sempre ammesso (perché anche questo è da dimostrare) che la gente si faccia poi davvero condizionare da TikTok.
In Italia si è sostenuto per decenni come la mafia condizionasse il voto di alcune regioni (ma lo stesso non facevano i giornali “padronali”, la Chiesa o i contributi russi al PCI?). Resta il fatto che dal più piccolo comune alla presidenza USA intorno ad ogni nomina più o meno democratica interagiscono comunque interessi economici e potenziali vantaggi (o svantaggi) per il singolo elettore.
Come potevano ammettere gli USA o l’UE che in Romania si eleggesse un presidente contrario – l’esempio è concreto – all’avviata costruzione della più grande base NATO in Europa, alle porte di Costanza? Meglio spingere per far annullare il voto e rinviarlo di mesi pur di non correre rischi.
Prove di interferenze esterne? Qualsiasi governo – soprattutto quelli a basso indice democratico – dispongono di adeguati servizi segreti che “a domanda” possono fornire (o fabbricare) “prove” più o meno utili a giustificare una decisione, eliminare un avversario scomodo, depistare l’opinione pubblica, anche perché chi governa ha di solito il più o meno completo controllo dei media e quindi dell’informazione.
Chiunque può sempre sostenere che una qualsiasi notizia non venga data in maniera corretta (soprattutto quando non è gradita) e il problema si moltiplica con le nuove fonti informative on line, sui social e per quella che ormai viene chiamata in causa in ogni istante, ovvero questa ancora confusa intelligenza artificiale che sembra capace di condizionare o falsificare tutto. Ottimo modo per depistare, ma anche per “contro-depistare” accusando gli avversari di farlo e quindi tacitandoli, come molti indizi confermano essere stato il caso romeno.
D’altronde ci sono in gioco spesso interessi economici, politici e militari così imponenti che un voto popolare può avere un esito rovinoso per chi li gestisce.
È chiaro che servono regole più certe, controlli più accurati, ma soprattutto una garanzia generale di trasparenza che raramente si ottiene sotto tutte le latitudini e a maggior ragione in quei Paesi di recente democrazia dove il confine tra il più o meno lecito appare decisamente ambiguo.
Resterebbe la strada di un controllo sovranazionale, una sorta di “corte d’appello” riconosciuta da tutti che possa deliberare sia su un crimine internazionale che su una regolarità elettorale, ma ad oggi tutti vedono le difficoltà per arrivare a un giudizio equilibrato e che comunque poi molto spesso non viene riconosciuto: dal Venezuela al Mozambico, gli esempi recenti non mancano.
È comunque preoccupante il precedente romeno e ancora più grave che le prove fornite siano tutto sommato sommarie, a fronte di un voto netto cancellato senza appello e che permette a chi gestisce attualmente il potere di continuare a farlo sine die, ben oltre i termini costituzionali.
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