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Home » Esteri » Medio Oriente » ISRAELE, QATARGATE, SONDAGGI IN CALO/ Ecco perché Netanyahu epura esercito e Shin Bet ma resta in sella

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ISRAELE, QATARGATE, SONDAGGI IN CALO/ Ecco perché Netanyahu epura esercito e Shin Bet ma resta in sella

Int. Ugo Tramballi
Pubblicato 2 Aprile 2025
Netanyahu

Benjamin Netanyahu, premier di Israele, all'Assemblea generale dell'Onu il 27 settembre 2024 (Ansa)

Nel Qatargate sono coinvolti due collaboratori di Netanyahu. E non è l’unico guaio del premier. Ecco lo scontro che si combatte nelle istituzioni

Contro di lui è in corso un processo per corruzione per aver favorito alcuni uomini d’affari e in questi giorni sono stati arrestati due suoi collaboratori, Eli Feldstein e Yonatan Urich, che avrebbero ricevuto soldi dal Qatar per diffondere alla stampa notizie che mettevano in buona luce l’operato di Doha, ma anche per promuovere i qatarini come mediatori per gli ostaggi. Per non parlare della responsabilità del 7 Ottobre, che, come premier, prima o poi dovrà affrontare.


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I guai giudiziari di Netanyahu non sono pochi, ma, spiega Ugo Tramballi, editorialista de Il Sole 24 Ore e consigliere scientifico dell’ISPI, non bastano per pensare di batterlo: il 70% dell’opinione pubblica, secondo un sondaggio, non condivide l’operato del governo, ma l’opposizione è troppo divisa per metterlo in difficoltà. Anche una parte delle istituzioni è contro di lui e proprio per questo, cambiando, come sta facendo, capo dell’esercito, procuratore generale e capo dello Shin Bet, il premier si sta coprendo le spalle. Potranno scalzarlo solo le elezioni di fine 2026.


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Netanyahu è stato sentito nell’ambito del Qatargate israeliano, in cui sono coinvolti due suoi collaboratori. Il premier ha in corso anche un altro processo per corruzione: rischia la rimozione per via giudiziaria?

Non ne sono così sicuro. Per anni ha ritardato il processo che ora è in corso, tirando in ballo prima le elezioni e poi la guerra. E non è finita qui: il primo ministro è di fatto responsabile di quello che è successo il 7 ottobre 2023, quando Israele si è fatto cogliere impreparato. Certo, il capo di stato maggiore ha dato le dimissioni per questo e lo Shin Bet ha le sue responsabilità, ma il premier è il primo a dover rispondere di una vicenda del genere, anche se, vista la sua spregiudicatezza politica, sarebbe in grado di rimanere in sella.


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D’altro canto, in questo momento anche Trump è il primo presidente americano pregiudicato, condannato per il caso Stormy Daniels, così come è stata condannata la stessa Marine Le Pen. Bibi Netanyahu è in questa fascia di avvenimenti politici. Dei suoi guai anche lui dà la colpa al Deep State, a un’operazione politica, nonostante sia al potere ininterrottamente da 18 anni.

Guai giudiziari o meno, sembra comunque molto difficile scalzarlo. Quale sarà la sua strategia?

La guerra, per lui, rimane uno schermo protettivo, perché nella storia di Israele tutte le volte che c’è un conflitto chi sta al comando della nave non viene toccato. Netanyahu l’ha ripresa dopo una prima tregua, pretendendo da Hamas, protetto dagli americani, la liberazione di un numero di ostaggi che non era stato stabilito negli accordi.

La vicenda dei soldi del Qatar dati ai suoi collaboratori ha un fondamento, per quello che sappiamo? C’è la possibilità che il premier sapesse cosa stava succedendo?

Non dico che fosse coinvolto, ma mi sembra molto difficile che non sapesse che i suoi collaboratori prendevano soldi dal Qatar. Più che del coinvolgimento dei suoi collaboratori, comunque, è responsabile di aver usato il Qatar per i suoi interessi politici.

Come?

Nel 2005 gli israeliani hanno smantellato gli insediamenti dentro Gaza, ma l’hanno fatta diventare una gabbia, impedendo ai gazawi di pescare, di avere attività economiche, di entrare in Israele a lavorare. D’accordo con le Nazioni Unite e Israele, il Qatar dava ogni mese soldi perché la gente non morisse. E Tel Aviv sapeva perfettamente che buona parte dei fondi non andava alla popolazione, ma ad Hamas, che li spendeva per costruire i tunnel e armarsi.

Era noto, ma a Bibi Netanyahu non importava, perché gli serviva avere un movimento palestinese che dicesse: “Vogliamo distruggere Israele” Non gli serviva, invece, un’autorità palestinese, quella di Ramallah, che per ben tre volte aveva ampiamente riconosciuto il diritto di Israele di esistere. Hamas, alla fine degli anni 90, è nata proprio con l’aiuto degli israeliani in chiave anti-OLP e anti-Fatah.

Perché Netanyahu ha fatto marcia indietro sulla nomina dell’ammiraglio in pensione Eli Sharvit a capo dello Shin Bet? La rimozione di Ronan Bar significa che c’è una parte delle istituzioni che è contro il premier?

Nelle forze armate, nello stato maggiore israeliano, una buona parte non la pensa come Netanyahu. Quando partì l’operazione di Gaza, gli avevano chiesto di creare le condizioni per un day after, per chiudere il conflitto. Il premier non ci ha mai pensato, perché il suo obiettivo era la guerra, eliminare Hamas, pur sapendo che l’organizzazione palestinese non poteva essere eliminata.

Per questo ha cambiato anche il capo di stato maggiore?

Herzi Halevi si è dimesso perché si sentiva responsabile del 7 Ottobre. Il capo dello Shin Bet, Ronen Bar, pur essendo anche lui in carica in quel momento, non si è dimesso, perché non vuole che Netanyahu faccia come nel caso dell’esercito, alla cui guida, appunto, ha nominato un guerrafondaio. I militari in Israele sono sempre stati più pragmatici dei politici, sono sempre stati la parte pensante del sistema di potere.

Cosa ha sbagliato allora il governo nella nomina di Sharvit?

Tutti sapevano che è un ammiraglio di sinistra rispetto a Netanyahu, e che aveva criticato le posizioni di Trump, partecipando, prima della guerra, alle manifestazioni contro la riforma della giustizia. Ora bisogna vedere chi verrà nominato al suo posto. Forse è stato indicato proprio per far vedere che tutto il sistema della sicurezza nazionale è in mano a gente che, per il premier, è di sinistra. La nomina di Sharvit, in realtà, rimane un mistero. Resta il fatto che, nelle forze armate e nella giustizia, c’è chi è critico nei confronti di Netanyahu, che però vive per il potere ed è abile a mantenerlo.

Questa opposizione interna, tuttavia, non è sufficiente per rimuoverlo?

In Israele c’è una democrazia e la legge dice che un primo ministro resta in carica fino all’elezione successiva, a meno che non perda la maggioranza parlamentare che sostiene il suo governo. Finché non accade questo, fino a che qualcuno non se ne va, Netanyahu resterà dov’è.

Times of Israel riporta un sondaggio secondo cui il 70% dell’opinione pubblica, in parte anche chi ha votato per i partiti che sostengono Netanyahu, è critico verso l’operato del governo: vorrebbe la liberazione degli ostaggi e la chiusura del conflitto. Il modo di vedere la guerra sta cambiando?

All’inizio della guerra il 90% degli israeliani era con il governo, poi col tempo il consenso è calato, aumentando di nuovo quando sono state ridotte la potenza di Hezbollah e la capacità di reazione dell’Iran. Adesso che la guerra è stata ripresa indiscriminatamente dopo una tregua, che si bombarda ancora il Libano e si continua a minacciare Teheran, occupando brutalmente territori anche in Siria con la convinzione di impedire un ritorno di forze islamiste, ma in realtà creando le condizioni perché questa minaccia possa tradursi in realtà, l’opinione pubblica sta cambiando idea.

Netanyahu ha sostituito il capo dell’esercito, nominerà una nuova guida allo Shin Bet e vuole cambiare anche il procuratore generale. In questo modo si è messo al sicuro da sorprese, assicurandosi la permanenza ai vertici del governo?

Il cambiamento lo vedo solo in caso di elezioni. Anche perché non c’è un’opposizione compatta. Come sempre, chi è al potere riesce a resistere grazie anche alla mediocrità delle minoranze. E le prossime votazioni saranno solo alla fine del 2026. Netanyahu è rinato politicamente molte volte, non è detto che esca sconfitto neanche nella prossima occasione in cui si apriranno le urne.

Le trattative per una rinnovata tregua, intanto, come vanno? Non c’è speranza?

Non è detto, ci sono centinaia di migliaia di riservisti israeliani che sono stati almeno 6-7 mesi l’anno al fronte. La gente è stanca anche per questo, perché si tratta di un esercito di popolo. Israele non è un Paese di 100 milioni di abitanti, non è la Russia. A Netanyahu, degli ostaggi non frega molto e ha accettato la tregua per dare respiro ai soldati.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Benjamin NetanyahuDonald TrumpMarine Le Pen

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