Oggi Meloni sarà in Egitto per la firma dell’accordo su Gaza. Metterà sul tavolo la disponibilità dell’Italia a prender parte ad una missione di pace
Domanda: la presenza di Giorgia Meloni alla cerimonia di firma oggi a Sharm el Sheikh dell’accordo per il cessate il fuoco a Gaza è un successo o un azzardo? Forse la risposta non può essere netta, ma un insieme delle due cose. Azzardo potrebbe rivelarsi aver sposato in pieno il piano di pace negoziato da Donald Trump, venti punti zeppi di incognite, di ambiguità e di criticità. Chi, come la premier italiana, lo sostiene, potrebbe pagarne un prezzo politico, anche sul piano interno.
La verità è però che al piano Trump, accettato obtorto collo tanto da Israele quanto da Hamas, non c’è alternativa. Dopo due anni di morte e sangue, di ostaggi israeliani e di fame dei palestinesi, dopo infiniti tentativi di mediazione, questo canovaccio per uscire dal pantano, per quanto lacunoso e imperfetto, è l’unica via possibile.
E allora non si può fare altro che sostenerlo. Lo ha capito persino Emmanuel Macron, che lascerà per 24 ore la complicata crisi politica in corso a Parigi per essere presente anche lui alla firma sulle rive del Mar Rosso. Nessuno può permettersi di restare lontano dal tavolo che potrebbe rivelarsi decisivo per gli equilibri del Medio Oriente. Vorrebbe dire dichiararsi irrilevanti a priori.
Ma Meloni non si è limitata ad accettare immediatamente l’invito di Trump a essere presente a Sharm el Sheikh. Insieme ai ministri Tajani e Crosetto ha immediatamente dato la disponibilità ad una possibile partecipazione delle forze armate italiane alla missione internazionale che potrebbe essere chiamata a contribuire alla stabilizzazione della Striscia. E stridente appare questa apertura rispetto alla netta chiusura rispetto a ogni ipotesi di contribuire “boots on the ground” alla sorveglianza di un possibile cessate il fuoco sull’altro fronte caldo, quello fra la Russia e l’Ucraina.
Fra i due scenari le differenze sono però evidenti, se si assume di ragionare senza paraocchi ideologici. Perché sulla frontiera russo-ucraina cedere alle pressioni anglo-francesi anche solo con una generica disponibilità potrebbe essere un gesto pericoloso, letto male dalla parte russa, ed esporre l’Italia a rischi enormi, cui l’opinione pubblica italiana è largamente contraria, con scarse o nulle possibilità di incidere.
In Medio Oriente, invece, l’Italia può giocare un ruolo rilevante, anche in virtù di un enorme capitale di credibilità nelle missioni internazionali accumulato in oltre quarant’anni di esperienza, a partire dal Libano, 1982.
Nell’area oggi i soldati italiani sono già impegnati in almeno quattro missioni, Unifil in Libano, la missione bilaterale di addestramento della polizia palestinese in Cisgiordania, il controllo del valico di Rafah in ambito Unione Europea (sospeso e già ripreso), e il pattugliamento degli stretti di Tiran, nel Mar Rosso. I nostri peacekeepers sono apprezzati da tutte le parti in lotta, dialogano con tutti e antepongono l’approccio umanitario a quello militare. La mano tesa prima della canna del fucile, dicono alcuni osservatori.
Nel mettere 200 carabinieri a disposizione per il supporto alla polizia palestinese il governo italiano sembra dimostrarsi consapevole di fare un azzardo calcolato. Di potere realmente incidere con un contributo specifico che potrebbe costituire un mattone significativo alla costruzione di un nuovo equilibrio.
Eventuali perplessità di qualche alleato, o delle opposizioni, non preoccupano più di tanto. Meloni è convinta che in parlamento la Schlein non potrebbe votare contro la partecipazione dei militari italiani alla missione: contraddirebbe se stessa e la richiesta al governo di fare qualcosa di concreto per la pace. Se lo facesse, un pezzo di Pd non la seguirebbe.
Per parte sua la premier continuerà a tessere la sua tela. Trump, Netanyahu, ma anche l’emiro del Qatar, i sauditi, gli emirati. Martedì sarà a Roma il re di Giordania, che con Meloni riunirà a Roma il gruppo informale del processo di Aqaba, con tutti i principali attori dell’area mediorientale. Tanti fili sottili che si intrecciano, nell’intenzione di dare consistenza al sottilissimo filo della pace. Solo il tempo dirà se la strada tracciata sotto l’egida di Trump porterà frutti. Ma l’Italia di Meloni ha deciso di esserci, e non da comprimaria.
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