L’accordo raggiunto nel corso della Cop28 è un ottimo primo passo, ma da solo non basta: non ha dubbi Jeffrey Sachs. Intervenuto ai microfoni di Repubblica, l’economista della Columbia University ha evidenziato che il difficile viene adesso: “Se vogliamo che all’accordo segua la realizzazione, i dieci maggiori “produttori” di CO2, fra Paesi petroliferi e fortemente industrializzati oltre che sbilanciati sull’utilizzo di petrolio, carbone e gas, dovrebbero intraprendere, e pure in fretta, un negoziato multilaterale per concordare i rispettivi tagli alle emissioni. Qui sta il prossimo nodo”. L’intesa raggiunta a Dubai è una vittoria della diplomazia, anche se a suo avviso “forse doveva essere una diplomazia un po’ diversa”.
L’analisi di Jeffrey Sachs sulla Cop28
“Si doveva chiedere con maggior rigore ai Paesi, almeno a quelli più “colpevoli” innanzitutto una quantificazione esatta delle emissioni attuali – non dimentichiamo che globalmente c’erano 26 miliardi di tonnellate di CO2 nell’atmosfera vent’anni fa e ce ne sono 37 miliardi oggi – e poi un programma più dettagliato di rientro”, è il punto di vista di Sachs. Per l’economista sono stati fissati dei termini piuttosto ambiziosi, ma l’obiettivo principale dovrebbe concentrarsi sui maggiori inquinatori, ossia Cina, Usa, Russia, India, Arabia Saudita, Indonesia, Australia, Canada, Iran e Iraq: “Insieme, i tre quarti delle emissioni da fonti fossili nel mondo”. Così Sachs: “Dovrebbero cooperare l’una con l’altra, costituire una sorta di cartello tipo Opec “allargata” e mettersi d’accordo sulla strategia. Intendiamoci, le strette di mano e i sorrisi di Dubai, al termine di due estenuanti settimane di trattative, sono in ogni caso un buon auspicio in un mondo in cui i problemi ambientali, politici, militari, sono tutti strettamente interconnessi. Diciamo che ora va dimostrato che attraverso l’ambiente passerà la pace mondiale. Speriamo che sia così”.