E' morto all'età di 97 anni Jim Lovell, astronauta a bordo delle missioni Apollo 8 ed Apollo 13: è considerato una leggenda dello spazio
È morto Jim Lovell, uno degli astronauti più famosi della storia. Fu lui, infatti, a guidare la missione Apollo 13 – una delle più memorabili – fino al rientro sulla Terra, avvenuto nel 1970. Come ricorda la BBC, aveva 97 anni, e la NASA lo ha commemorato descrivendolo come un uomo che ha «trasformato una potenziale tragedia in un successo».
La missione Apollo 13 è ricordata per l’esplosione a bordo della navicella spaziale, mentre si trovava a centinaia di migliaia di chilometri dalla Terra, che mise a serio rischio l’equipaggio e fece vivere ore di puro terrore a milioni di americani, incollati davanti alla televisione per sapere come si sarebbe conclusa. Alla fine, Jim Lovell e i due colleghi astronauti riuscirono a rientrare sani e salvi, ammarando nell’Oceano Pacifico: un momento divenuto uno dei più iconici della storia dei viaggi spaziali.
Lovell è ricordato anche per un altro primato: prese parte alla missione Apollo 8 e fu quindi il primo uomo ad andare due volte verso la Luna, senza però mai mettervi piede. «Ha aiutato il programma spaziale statunitense a tracciare un percorso storico» – ha dichiarato Sean Duffy, capo ad interim della NASA – mentre la famiglia dell’astronauta ha fatto sapere: «Ci mancheranno il suo incrollabile ottimismo, il suo senso dell’umorismo e il modo in cui faceva sentire a ognuno di noi che potevamo fare l’impossibile. Era davvero unico nel suo genere».
JIM LOVELL E’ MORTO, IL RICORDO DI TOM HANKS
Anche l’attore premio Oscar Tom Hanks – che interpretò Lovell nel celebre film del 1995 – lo ha definito una di quelle persone «che osano, che sognano e che guidano gli altri in luoghi in cui noi non andremmo da soli». Secondo Hanks, i numerosi viaggi di Lovell «non sono stati intrapresi per ricchezza o celebrità, ma perché sfide come queste sono ciò che alimenta il corso della vita».
Jim Lovell desiderava da sempre diventare astronauta. Fin da ragazzo si era appassionato a un mondo che, negli anni ’30 e ’40, era ancora oscuro e lontano, ben prima che la corsa allo spazio si intensificasse con la Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica. «Ai ragazzi piacciono o i dinosauri o gli aeroplani: io ero un tipo da aeroplani», raccontava in una delle sue ultime interviste. Avrebbe voluto costruire razzi, ma divenne pilota della Marina militare statunitense, che nel dopoguerra cercava nuove reclute.
JIM LOVELL E’ MORTO, LA SUA CARRIERA
Dopo la laurea, fu assegnato a una portaerei e pilotò i caccia Banshee di notte, impresa non da tutti. La sua prima occasione arrivò con il Progetto Mercury, il tentativo americano di mandare un uomo in orbita attorno alla Terra: fu uno dei 110 selezionati dalla NASA, ma una temporanea malattia al fegato lo escluse.
Dovette attendere il 1962 per entrare in un nuovo programma, voluto da Kennedy, per andare sulla Luna. Furono scelti nove uomini, tra cui Lovell, Neil Armstrong e John Young. Tre anni dopo, Lovell partì per lo spazio a bordo di Gemini 7, in una missione di due settimane. Successivamente volò su Gemini 12 insieme al giovane Buzz Aldrin, che compì una passeggiata spaziale.
JIM LOVELL E’ MORTO, APOLLO 8, 13 POI IL RITIRO
Arrivò poi Apollo 8, il primo volo a superare l’orbita terrestre bassa, considerato il più pericoloso della storia. A bordo del gigantesco razzo Saturn V, lanciato a 40.000 km/h, Lovell e i colleghi sorvolarono la Luna e ammirarono la Terra da lontano. In quell’occasione, Lovell citò il Libro della Genesi: «E Dio chiamò la luce Giorno e le tenebre Notte. E fu sera e fu mattina: il primo giorno».
Fu lui a pronunciare anche la celebre frase rimasta nell’immaginario collettivo: «Houston, abbiamo un problema», durante l’incidente dell’Apollo 13 nel 1970. Nonostante la paura e il pericolo, l’equipaggio tornò a casa sano e salvo. «Per quattro giorni – disse Marilyn, la moglie di Lovell – non ho saputo se ero una moglie o una vedova». Nel 1973 Lovell decise di ritirarsi dalla carriera di astronauta, lasciando un’eredità indelebile nella storia dell’esplorazione spaziale.
