Kallas: “Chi è per la libertà deve stare in Ucraina, non a Mosca”. Scontro con il premier slovacco Fico sulla memoria sovietica e la linea Ue da seguire
Il 9 maggio 2025 – data che unisce il Giorno dell’Europa all’80° anniversario della vittoria sul nazismo – è diventata teatro di un acceso scontro diplomatico con Kaja Kallas – Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri – che condanna nettamente la scelta del premier slovacco Robert Fico – unico leader europeo a partecipare alla parata militare di Mosca – affermando durante l’incontro dei ministri degli Esteri Ue a Leopoli che – a suo giudizio – chi sostiene la libertà e i valori europei dovrebbe trovarsi proprio lì, in quella città simbolo di resistenza e vicinanza, al fianco dell’Ucraina sotto attacco e non a celebrare con chi bombarda ospedali e scuole.
Fico – dal canto suo – difende la sua presenza a Mosca attraverso una lettera aperta carica di retorica storica in cui ribadisce che la sua partecipazione è legata all’intento di onorare i sessantamila soldati sovietici caduti liberando la Slovacchia dal nazifascismo tra il 1944 e il 1945, un debito di memoria – precisa – che nulla avrebbe a che fare con le politiche attuali del Cremlino; il confronto così impostato trascende le singole personalità trasformandosi rapidamente in un conflitto tra due narrative storiche profondamente divergenti, da un lato quella baltica – che identifica nell’Armata Rossa l’inizio di un’occupazione – dall’altro quella slovacca, radicata nel mito della liberazione.
Kallas vs Fico: storia, sovranità e il fantasma della nuova cortina di ferro
La replica del premier slovacco non si limita però al solo richiamo storico in quanto Fico accusa senza mezze misure Kallas di voler erigere una nuova cortina di ferro tra est e ovest, un’accusa fondata sull’idea che l’approccio dell’Unione Europea stia trasformando ogni occasione di dialogo in uno strumento di esclusione, dando adito più alla contrapposizione ideologica che alla soluzione politica; inoltre, sostiene che – nonostante la Slovacchia supporti formalmente le sanzioni contro Mosca – questa resti convinta che la via della mediazione non debba essere abbandonata e che negare agli Stati sovrani la possibilità di incontrare chi ha posizioni differenti significhi indebolire la stessa essenza della diplomazia.
La risposta di Kallas respinge con forza questa lettura poiché – secondo lei – la partecipazione alla parata russa (guidata da un Putin che strumentalizza la retorica antifascista per giustificare l’invasione dell’Ucraina) finirebbe per offrire una patina di credibilità a un regime che calpesta apertamente il diritto internazionale e in questo scambio di accuse si riflettono le profonde divisioni interne all’Ue: se i Paesi come Polonia e Stati baltici percepiscono il revisionismo storico russo come una minaccia esistenziale, la Slovacchia, Ungheria e in parte Austria sono più inclini a separare il passato glorioso dell’Armata Rossa dalle azioni aggressive del Cremlino di oggi.
Intanto, questo conflitto diplomatico rischia di indebolire ancor di più la politica estera comune dell’Unione, già fragile e traballante nella gestione dei fondi per Kiev e nella definizione di linee condivise per l’invio di armi; l’Europa si ritrova così divisa tra una retorica ufficiale sempre più unanime e una realtà politica fatta di fratture, ambiguità e posizionamenti divergenti, che logorano il progetto stesso di una coesione strategica.
